Petit hommage à Patrizia Pitrolo
Sembrava come dipinta, l’ aria, dentro a quel mattino di Ottobre, in quella striscia di strada tra il mare, il porto e la città, percorsa dalle ridda dei gabbiani, lì a decine a trafiggere l’azzurro, incerti, gli uni e gli altri, se optare per le linee delle grida o quelle della danza.
Ci incamminammo dalla piazza del Conservatorio per le strette vie del centro, percorrendo a passi che sapevano un po’ di vago e di ansioso gli esili spazi di luce guadagnati dal sole, cadenzando e unendo il nostro andare con i disegni delle bàsole ineguali sul selciato, e le voci dei venditori mattutini.
Osservavo lei, ogni tanto, dinanzi al frastuono degli incroci, sotto ad antiche case che il nero dello smog rendeva così desolate e pure bellissime. Ammiravo la sua libertà di ragazza che le sembrava scritta tra le onde lievi dei capelli, dentro al suo vestito di seta di colore blu ma soprattutto la sentivo vicina, per quel fluire costante di pensiero che già le pulsava fin dall’alba dritto alle tempie: il pensiero di un concerto da tenere, lei, da lì a poco, nel teatrino di una scuola. Un concerto di pagine romantiche, con il suo proprio volo di sogni, carezzato, cercato fino a quel giorno con un qual senso di atteso, durevole e serbato timore, che potesse ora, ad un tempo, prender vita e farsi suono…
Apparve in scena, Patrizia, avvolta in un nugolo di ragazzi come lei, già felici, di per sé d’essere evasi a quell’ora dal consueto grigiore delle aule, dalla prigionia dei libri, dai sguardi seriosi dei loro professori.
Il tempo di un inchino. Breve, pensato, studiato; così come l’aveva preteso il maestro il giorno innanzi.
E via. L’ attacco di Schumann, la corona di quel re naturale al basso, in ottava, tra la magia d’un respiro sospeso … Ed il resto, poi, mano a mano, come corde leggere che arpeggiano nel vento e farfalle, ed echi di feste, ed amori trascorsi tra le rive d’un fiume …
Seguitava a suonare, la nostra amica, e gli occhi dei ragazzi ora cominciavano a cercarsi, a interrogarsi forse di qualcosa o ad essere presi da quelle note nuove, così belle, così lontane dai loro miti, mai raggiunte fino ad essi dalle radio e dai juke box; mentre qualcuno, tra la calda penombra della sala, già si baciava con una qualche rubata tenerezza, dietro ad un pilastro.
Chissà se abbia visto, Patrizia, tra lo scorrere dei suoi suoni di quel giorno, come in una sorta di flash back inverso, anche solo una scheggia, una clip breve della sua vita futura. La musica, l’umiltà, l’impegno, l’integrità, la passione, il servizio. E il tutto senza venir meno al suo amato, sublime mestiere di donna e di madre.
Papillon, l’opera 2, intanto, continuava il suo viaggio, le sue calde tempeste d’Estate, i suoi sussurri di memorie semplici, di storie che mai si perdono, di canzoni mai sconfitte dalla notte...
Come quell’ultima danza, quel tre quarti in Re maggiore da farsi al tempo IN UNO, e quell’epilogo lento, calmo, spianato al sereno.
Come i tuoi ultimi giorni.
E noi, al contrario di Schumann, non faremo echeggiare ora, per te, nessun silenzio al rintocco delle sei, da scolpire nell’aria o sopra un tasto; nessuna alba che approdi a un’ oblio, nessun sonno che vibri tra il nulla.
Riscriveremo quella pagina stessa che, semplice, conduca al tuo pensiero.
Una sorta di perpetuum mobile, un canone infinito, un disco che si incanta, che mai rifugge dal suo solco.
Patrizia Pitrolo |