Mi e’ venuta voglia di un racconto. Un bozzetto vero.
Che parla di un amico artigiano e musico.
Nome e cognome, bravo, a far l' una l’altra cosa, in quel magazzino a pianoterra, nella zona del centro citta', con le mani dedite al suo umile mestiere.
Lavorava, lavorava, chino con le spalle, già al venire del mattino. Aveva un giradischi, con le opere, adagiate su uno scranno accanto. Kraus, Pavarotti, Del Monaco, Corelli, Bergonzi.
Lui cantava, cantava, appresso al vinile. Con i passanti dietro al vetro del negozio, ad annuire. Sorpresi, lieti, commossi, a volte; mentre il tono dalla voce fuggiva tra gli usci e le fessure, come un fiume caldo, dritto ai cuori.
Un angelo, era. S. Con la fronte stretta verso gli occhi. Manrico, Edgardo, il Conte di Luna…
Entrava in ognuno di questi, in esatta movenza del viso, animandone le storie e le passioni, dentro al suo liso grembiale grigio azzurro.
Un giorno passo' da lì uno del teatro. Uno grosso.
Si turbo', ascoltandolo, penetrato da quelle arie e romanze gravide, in manto di bellezza la', nel mezzo della via.
Gli lascio' di fretta il biglietto da visita.
Dopo qualche giorno, scesi dal palazzo e trovai chiusa la saracinesca. C’era una scritta a penna su un foglio attaccato con lo scotch:il negozio apre solo dalle 7 alle 10 di ogni giorno.
S. mi conosceva. Ero quello che suonava il pianoforte, al quarto piano.Pochi giorni dopo mi chiamò, mentre ero sul portone, pronto verso la scuola, dandomi una busta per la mia famiglia, coi biglietti dentro, come ricompensa affettuosa per le cassatelle di mamma, in dono a lui, tante volte per quell' incanto delle mille romanze, fatte in quell’ angolo di strada
S. era entrato nel coro. D' amblee'. Come Cenerentola o Tamino, nel castello dei sortilegi lieti.
Il solfeggio, per lui, era stata un alchimia indecifrabile, sopraffatta dal talento naturale. Notti e notti, di lombardi, va pensieri, regina cieli, e pure ianacèc, messiàn, sempre appresso ai dischi, a cavalcare le onde di quei suoni, come a un destriero, in praterie di incanti.
Andavo sempre a teatro. Ora da trent'anni non vado quasi piu'.
Salivo in loggione, nella claque di L. Applausi comprati dall' entrata gratis. Una pratica utile, per gli studenti, noi, di allora.
Ogni volta, là in scena lo cercavo, il mio amico S. tra i tenori. Come si fa con un nostro prediletto, di cui si seguono le gesta e l'eroico cadenzare dei cammini. Col frac, dietro ad alfredo, o col saio di nabucco.
Per anni S. continuo’ a recarsi, dalle sette alle dieci, al suo mestiere; di mani, di spalle riverse
su oggetti, utensili, materie.
Ogni tanto ripartiva, con la musica in petto, nel grembo delle piogge o dei sereni: mezze voci, recitati, cabalette, dentro a viaggi da guerriero, da poeta o locandiere. Con l’ intatto velluto del protagonista, in magia e fierezza, di là dalla vetrina. Con il suo cenno, il suo garbo quieto e impalpabile d’inchino; dato alle donne là davanti, col carrello della spesa; al bambino con il fiocco blu; ad altri lì per caso, stupiti di quei suoni pieni e fecondi, seguìti, non di rado, con le lacrime tra i volti.
Ciascuno, fermo sulle perle di quel canto puro, inatteso. La’ a sopraffare in aria e in carezze il caos, il grigio distacco del tempo, in seno alla strada e alla citta’.
a.s. ottobre 2024