domenica 6 ottobre 2024

Il Mastro di romanze









Mi e’ venuta voglia di un racconto. Un bozzetto vero.  
Che parla di un amico artigiano e musico. 
Nome e cognome,  bravo, a far l' una l’altra cosa, in quel magazzino a pianoterra, nella zona del centro citta', con le mani dedite al suo umile mestiere.
Lavorava, lavorava, chino con le spalle, già al venire del mattino. Aveva un giradischi, con le opere, adagiate su uno scranno accanto. Kraus, Pavarotti, Del Monaco, Corelli, Bergonzi.
Lui cantava, cantava, appresso al vinile. Con i passanti dietro al vetro del negozio, ad annuire. Sorpresi, lieti, commossi, a volte; mentre il tono dalla voce fuggiva tra gli usci e le fessure, come un fiume caldo, dritto ai cuori.
Un angelo, era. S. Con la fronte stretta verso gli occhi. Manrico, Edgardo, il Conte di Luna…
Entrava in ognuno di questi, in esatta movenza  del viso, animandone  le storie e le passioni, dentro al suo liso grembiale grigio azzurro.  
Un giorno passo' da lì uno del teatro. Uno grosso.
Si turbo', ascoltandolo, penetrato da quelle arie e romanze gravide, in manto di bellezza  la', nel mezzo della via. 
Gli lascio' di fretta il biglietto da visita. 
Dopo qualche giorno, scesi dal palazzo e trovai chiusa la saracinesca. C’era  una scritta a penna su un foglio attaccato con lo scotch:il negozio apre solo dalle 7 alle 10 di ogni giorno.
S. mi conosceva. Ero quello che suonava il pianoforte, al quarto piano.Pochi giorni dopo mi chiamò, mentre ero sul portone, pronto verso la scuola,  dandomi una busta per la mia famiglia, coi biglietti dentro, come ricompensa affettuosa per le cassatelle di mamma, in dono a lui, tante volte per quell' incanto delle mille romanze, fatte in quell’ angolo di strada  
S. era entrato nel coro. D' amblee'. Come Cenerentola o Tamino, nel castello dei sortilegi lieti.
Il solfeggio, per lui, era stata un alchimia indecifrabile, sopraffatta dal talento naturale. Notti e notti, di lombardi,  va pensieri, regina cieli, e pure ianacèc, messiàn,  sempre appresso ai dischi, a cavalcare le onde di quei suoni, come a un destriero, in praterie di incanti. 
Andavo sempre a teatro. Ora da trent'anni non vado quasi piu'. 
Salivo in loggione, nella claque di L. Applausi comprati dall' entrata gratis. Una pratica utile, per gli studenti, noi, di allora. 
Ogni volta, là in scena lo cercavo, il mio amico S. tra i tenori. Come si fa con un nostro prediletto, di cui si seguono le gesta e l'eroico cadenzare dei cammini.  Col frac, dietro ad alfredo, o col saio di nabucco.
Per anni S. continuo’ a recarsi, dalle sette alle dieci, al suo mestiere;  di mani, di spalle riverse  
su oggetti, utensili, materie. 
Ogni tanto ripartiva, con la musica in petto, nel grembo delle piogge o dei sereni: mezze voci, recitati, cabalette,  dentro a viaggi da guerriero, da poeta o locandiere. Con l’ intatto velluto del protagonista, in magia e fierezza, di là dalla vetrina. Con  il suo cenno, il suo garbo quieto e impalpabile d’inchino; dato alle donne là davanti, col carrello della spesa; al bambino con il fiocco blu; ad altri lì per caso, stupiti di quei suoni pieni e fecondi, seguìti, non di rado, con le lacrime tra i volti. 
Ciascuno, fermo sulle perle di quel canto puro, inatteso. La’ a sopraffare in aria e in carezze  il caos, il grigio distacco del tempo,  in seno alla strada e alla citta’. 

a.s. ottobre 2024

lunedì 27 maggio 2024

A Nino Mancuso, maestro.


Conobbi Nino Mancuso per via di una cassetta. Una cassetta audio, di quelle ancora in uso, da noi, intorno agli anni ottanta. La ebbi tra la mani, ricordo, in dono da un allievo assai caro che aveva preso, nei suoi inizi, a studiare fisarmonica.                 

In viaggio, quel giorno, verso il mio paese,  accesi l'autoradio e la spinsi con cura dentro al mangianastri. Sento, ora, mentre scrivo, l' uguale fragranza e aria di pioggia, lungo la strada che mi si poneva lieve, accanto; le grandi gocce cadenzanti al parabrezza, e ancora come allora, le povere vesti dei passeri smarriti, intirizziti, in schiera, sopra i fili e i pali del telefono.           

Partì, la musica, subito, in un punto alla metà del nastro, piano, in controcanto alla vista del mare  che appariva confusa  lontana, tra l’ alito pensoso della nebbia. Era il Preludio di Traviata, il suo abbrivio dolente, sussurrato dai tasti in madreperla tra il quasi umano e dischiuso fiato del mantice, alle braccia. 

Era bravo, Nino. Un tessitore dolce d' arabeschi, di spirali leggere, tramate sul cuore. E i suoni, i suoi suoni, sembravano un calmo parlare, una polvere di luce, posata sopra al vivere. Lo conobbi così. Con la musica in mezzo, fra noi: dolce,  fidata compagna  incontrata tra i giorni,  da cui mai separarsi.                                  

Lo cercai, il maestro. Lo invitai a suonare. Sere nel grembo delle estati, con la luna a far da madre ai chiostri, ai bagli, ai cortili. Con le perle del sudore, Nino, (e qui passo a chiamarti col tu) a tergerti il papillon: in nugoli lucenti, là posti sopra al viso.                               

Potrei narrare, è facile con te, non di storie nascoste, inventate, ma di favole vissute a quei tuoi suoni. Tra il pensiero che, in musica, si svelano, ad essa, soltanto ricchezze - dall' animo degli uomini - e mai le povertà. 

Fui felice, di averti avuto, allora,  alle mie nozze; in quella sera con la tua czarda a danzare rapsodica, svelta, alle mani. Perfetta e  pervasa  dentro ad ali virtuose, da campione.  

E ricordo sempre  di aver mosso anch' io le tante partenze verso te a Bisacquino; di aver percorso quelle strade tortuose e gaudenti , tra il saluto delle agavi fiorite.  Di aver spartito, poi, le mie sincere povere cose compiute al pianoforte, insieme alla tua gente. E portarti le schiere degli allievi, i colleghi artisti, la Fucina dell' Arte, l' Orchestra Cicero, il  Coro Anima Gentis,  le Voci Bianche, nella sfera della creatura che hai tenuto a lungo in cuore: la tua "Primavera Musicale".  Bel titolo che hai scelto, caro amico, in lucente elzeviro di letizia. 

È così.  È primavera, il porgere in mano un po' di bellezza, tra l' anima e il valore stesso di un luogo. Come lo è, primavera, ogni volta, il coinvolgere i giovani, o drappelli di seguaci d' ogni età  in un'idea d' arte vera e possibile, e sentirne di essa la dimensione, il non sterile germe,  come un aria che irrompe tra il gaudire dei  mattini.                                                      

È primavera, poi, finire queste righe.     In cui l' esser grati alla musica, qui, si muta, semplice, quieto, dentro a un mostrarsi  di bacche o  ginestre odorose. E scrutarne, sentirne, da esse, i doni, gli sguardi, i disegni di Dio.