Serata dedicata al libro di Tony Caronna ed Enza Maria D'Angelo, ( prefazione di Antonio Sottile)
nella Chiesa della Catena a Palermo, con la partecipazione delle Voci Bianche del Conservatorio
Palermo, 21 Dicembre 2012
Ho il piacere di pubblicare tra queste pagine web la mia prefazione al libro, appena edito dalla casa editrice Il Campano. Il ricavato dalla vendita andrà in favore del Progetto Gemma, servizio per l'adozione pre - nascita a distanza di madri in difficoltà.
Ora pro nobbi santa dei genetri…
Oremus grazia mintùa … questum
nostr infunti…”
Si era fatta
l’ora. Gli spaghetti fumavano già sulla tavola, mischiati ed
immersi nelle scodelle di terracotta smaltate di
celeste, con al centro la cannata
del vino schiumante ancora di botte. Un
tripudio, una gazzarra trepida di
odori e di colori, con la gola ad inghiottire a vuoto la bramata delizia di spada, menta e melanzane.
Non c’ era
storia. Non c’era modo d’affondare la forchetta anzitempo sulla gloria del
cibo. Prima veniva la preghiera.
Così, mia
madre stracambiava la voce ad un tratto, facendosi seria ed iniziava l’Angelus.
Non ho mai
dimenticato quei momenti, quell’irrompere consueto
della fede sulle nostre labbra,
sulle nostre normali vicende del vivere;
tra l’acclamato dono, ogni volta, d’attenderne una qualche luce o consòlo,
a riconoscerne un segno di verità semplice e, per questo, infinita.
Scorrendo le
bozze del lavoro di Tony ed Enza Maria Caronna, così attento, vivo, appassionato, rincontrando tra le pagine le parlate e
i fonemi assai cari
del dialetto siciliano, mi è sembrato come entrare una volta di più dentro l’ atmosfera
e la primordiale tenerezza scaturita
da mille stuoli di suoni e di
versi danzanti, così vivi, così
familiari; nella loro magia di ritmi celati tra le sillabe, nella fragrante, disarmata innocenza
della loro ispirazione.
Già,
l’ispirazione. A volte, in certe sere d’inverno, quando m’accade di tornarmene tra i luoghi dove sono nato, tra
quella stessa aria che amo e conosco,
non è raro che a casa m’imbatta in un qualche volume di poemetti, in qualche libricino di liriche strapaesane, sonetti di terre e di mari, o canti di cose di Dio. Di là da ogni
esegetico impulso o misurata analisi
riguardo al loro contenuto letterario, ciò che mi intriga spesso è il voler
come giocare o candidamente frugare tra
l’anima di questi amabili poeti
nostrani , di questi emuli Petrarca
da Mussomeli, Molière da Pietraperzia, Holderling da Bisacquino…
Eppure,
come sarebbe fascinoso conoscere le ragioni, il germe, la scintilla che
prelude ai loro gesti creativi, ovvero la necessità di esprimersi nel
bagliore di una rima ritrovata, di un settenario riuscito a far
quadrare, di un disegno, alla fine,
gioiosamente compiuto. E quanto tempo,
pensiamo, sottratto ai loro
mestieri, alle olive, alle vigne, alle
capre, al loro stesso pane, pur di assecondare, essi, quel richiamo da dentro, quella
spiaggia di sirene, quella scheggia di fuoco nutrita in fondo al cuore.
Fin qui dei poeti ho scritto, fugacemente,
nelle poche righe qui sopra. Mi rimane ora di farlo sui musicisti o ancor
meglio, sui musicanti: l’altra
parte, l’altro emblema di questa
affettuosa compagnia o cerchia d’arte,
con il proprio percorso concepito per animare gli spiriti sinceri, i sentimenti del popolo, la vera
gente, al fine di scaldarne l’amara e
grama esistenza e porla in dialogo a un
pensiero tanto dolce, pietoso,
carezzevole, quanto infinito. Il pensiero di Dio.
Ci colpisce, in
questo fascinoso viaggio verso le mete della nostra letteratura popolare e
religiosa, il rimanere presi da
personaggi e figure rare, lontane, sconosciute; e se ci risulta facile poter individuare in
talune opere l’ impronta, il segno
dei versi magistrali di Annulero, di Di Liberto o di altri ancora, è pur vero che
riguardo agli autori delle musiche, il
più delle volte, invece, ci risulta
sapere assai poco o nulla. Così che,
davanti all’incanto sonoro di
un Alligrizza
piccaturi , di un Viaggiu d’i tri
Re, o del Canzuneri di Maria
abbiamo quasi a sentire come
smarrirsi l’occorrenza d’un
nostro tributo di lode, di un feel di gratitudine, di un bisognoso slancio verso l’entità di un volto o
di un nome.
Noi, che nella
vita e per mestiere, abbiamo studiato la musica dei grandi, Mozart, Verdi o
Brahms, che giorno dopo giorno percepiamo sempre più alto il
distacco tra la nostra pochezza e il loro genio
e ne sentiamo ogni volta più lontano
il confine, che sembriamo navigare alla
deriva tra le vincenti maree delle loro creazioni, che misura o valore allora potremmo attribuire, invece, al lavoro
di questi altri primigeni artisti
della nostra terra, e che premio generoso poter dispensare ugualmente ai loro
esili, piccoli ricami di suoni e di
parole?
– Nessun valore, nessun premio – risponderemmo decisi, se non credessimo altrimenti alla verità
che nell’arte ci sia davvero
posto per tanti, per le minime o le grandi cose, per i
supremi voli o gli incerti cammini, purché segnati e percorsi dalla generosità del cuore, da un durevole, ricolmo abbandono...
Se la ragione di
questo breve scrivere non mi fosse
sacrosanta, proverei io stesso a negarmi la
naca d’ù Bamminu, nella
sera di Natale, al mio paese, o la cantata d’i pastura nella piazza, con la
brace di salsiccia accanto alla neve, e il bacio degli amici pecorai odorante di cannella e vino cotto; e
l’aria calda, fumante che esce dall’ancia dei clarini, dal fiato dei
corni, in eco all’ansare dei
cantori. No. Non ci sarebbe
posto per la Weichnacht –Kantat di
Bach, quella notte, con tanto di recitativi e fluttuanti arpeggi dei
cembali. Mi basterebbe leggere la
nascita di Dio tra gli sguardi dei vecchi,
tra il bilico dei loro sofferti accenni di danza e le lunghe sciarpe a sfiorare
le bàsole imbiancate, tra le
grida dei ragazzi attentanti il fluire del suono, così pregno d’armonie quiete, di parole dolci, più d’un miele di carrubo.
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Il canto della Novena di Natale in Sicilia, ( Alimena) |
Accostandomi
ora a riaprire il volume e a
riassaporare l’ottimo lavoro letterario di Tony e Enza Maria, tra l’altro
impareggiabili genitori di Micol , mia
allieva del coro in Conservatorio, vorrei poter contribuire con una piccola
sorpresa ad aggiungere un foglio, un foglio soltanto all’esauriente stesura
del loro libro. E’ una
chicca autentica, una poesia – cantata del Natale, scritta da Mastro Pasquale
Pagano, scarparo di Caltagirone, all’incirca nel 1760 che ho ritrovato tra i manoscritti della Biblioteca Comunale e che ho voluto
rendere in musica , con la minuta aggiunta di poche modifiche. E’ un cammeo di delicato charme dialettale, d’ adamantina purezza
inventiva , che mi ora piace tradurre tra queste pagine.
CANZUNERI DI NATALI
composto da Mastro Pasquale Pagano,
scarparo di Caltagirone, 1760, circa
Càdinu a scrusciu l’acqui
saziannu la campagna
la nivi a la muntagna
si va pusannu già.
Ntra stu friddusu tempu
di ‘nvernu rigurusu
Maria cu lu so spusu
in
Bettilemmi và.
Incinta si truvava
di n’ommu ch’ era Diu
quannu a Judìa iuncìu
circàu na casa ddà.
Cunfusu era Giuseppi
nu avennu chiù chi fari
cerca Maria purtari
fora di la città.
Na grutticedda trova
(lu
tempu ja strincennu)
trasi Maria vidennu
dda granni povertà.
Senza duluri e frenu
isannu a Diu la vuci
duna Maria
alla luci
dda gran Divinità.
E pri maggiuri preggiu
essennu matri fatta
ristau pi sempri ‘ntatta
la sò virginità.
La mìsira gruttuzza
diventa un paradisu
e n’ancilu l’avvisu
duna all’umanità.
Virdicanu li campi
la serra fa li sciuri
natu è lu Redenturi
ognunu a festa fà.
Godi la matri intantu
vasa lu sò dilettu
lu strinci a lu so pettu
e ad adurarlu stà.
Na stidda all’urienti
si vitti ‘ntra li spiaggi
e prestu li tri Maggi
si partinu di ddà.
E li pastura infini
a lu Messia cantannu
turnarunu gluriannu
la granni so bontà !
Grazie, mastro Pasquale, di questa
cantata, di tutte le tue notti persi ad
assicutare rime ‘nfruntati con i sillabi.
Il tuo travagliu non è stato ammàtula.
Anche se non te la fidavi a impastare figurine per il presebbio della
tua putìa, te la sei fidato ‘nvece a
impastare palori, a metterci pinseri, fede, sentimentu.
Certu, duecetusessant’anni sono
un poc’ assai, prima di vedìri la tò
poesia cumparìri in un libro. Ma l’arti
metti giustizia, ogni tantu.
Se lo puoi
fari, sduviglia a tua moglière, e facci
vedere il tuo nome appiccicato nella paggina. Eppoi, dille che sbagliò, tante volte, a non capìri abbastanza la tua valentizza
d’omu e di scrittori.
Come quella matina che idda venni alla putia con la
cannata riempiuta d’acqua frisca e te
la gettàu nella tò faccia, gridanno: –“
Pasquà! O Pasquali di sti
càbbasi…..! Vedi che sti cosi chi
scrivi nun si mànciano ! - “
E ti strazzaù la
carta del pani dove c’erano scritti le poesie. E lo seppero tutti, i parenti, l’amici, il vicinato che tu la volevi
scannare con la lèsina. Fino a
quanno vennero la guardia ‘nzemmola al pàrroco. E, alla fini,
voi faceste paci.
Un saluto, sempri amico
Antonio Sottile, Novembre 2012
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Caltagirone, presepe ( part), Chiesa Madre |