Alessandra Fenech e Valentina Inzerillo, violino e pianoforte, in concerto per il Salotto Musicale della Nuova Agimus.
Palermo, Auditorium di Santa Cita, 29 Novembre 2012.
Da quando il Conservatorio rimane aperto fino a tardi, mi piace poter fermarmi per le lezioni, un paio di volte a settimana, nelle ore serali.
A distanza di quarant'anni, dai tempi in cui da ragazzino vi andavo con i
compagni di pianoforte per le prove ansiose dei saggi, il poter
riprendere ora questo rapporto "notturno" con la mia scuola mi è sembrato
una sorta di dono, di privilegio inatteso: così come tornare a scoprire, per
le stanze, lo stesso odore vissuto e polveroso del legno degli Steinway, o
ugualmente tra le pause di uno ètude, di un adagio, riascoltarmi il fischio non lontano delle navi in rada e il
loro dipartirsi tra le luci del porto, splendido
e con vista, dall'aula 44.
L'altra sera, la prima di vera pioggia in
città, pluie que lente che chiudeva il suo idillio con la calda
magia dell'autunno, mi aveva riservato tuttavia una novità ulteriore: quella di uscirmene, per ultimo, dal Conservatorio
e, al posto di compiere il tragitto verso casa, recarmi invece a piedi
nella chiesa di Santa Cita, poco distante, per il concerto di Valentina
Inzerillo e Alessandra Fenech. In programma due Sonate di Beethoven e Brahms.
Il luogo del concerto, anch'esso, mi era nuovo:
una piccola cripta sovrastata da arcate e da volte basse e severe, da poco
rimbiancate, proprio sotto al celebre oratorio del Serpotta.
Non ascoltavo Valentina, già mia allieva di
pianoforte, in pubblico da anni. L'abbrivio della prima Sonata beethoveniana,
l'op. 12, mi è parso subito come il dipanarsi di un eloquio semplice, intimo,
familiare, in accordanza con il disegno del violino che sembrava richiamare il
sapore e l'atmosfera dei salotti musicali d'un tempo.
Suonavano bene entrambe. Si capiva del loro studio, della loro necessità di perseguire il senso di una linea chiara, di un'attenta idea di coerenza nel nome di una classicità dalla bellezza essenziale. Perchè la ricerca di classicità, lo sappiamo, finisce per premiare sempre: come i tratti d’ una donna che noi ammiriamo per strada: sobria, d'una eleganza quasi priva di orpelli, e da ogni movenza accorgerci d'un suo fascino lieve, misurato, che sembra dar luce a ciò che le sta intorno.
Suonavano bene entrambe. Si capiva del loro studio, della loro necessità di perseguire il senso di una linea chiara, di un'attenta idea di coerenza nel nome di una classicità dalla bellezza essenziale. Perchè la ricerca di classicità, lo sappiamo, finisce per premiare sempre: come i tratti d’ una donna che noi ammiriamo per strada: sobria, d'una eleganza quasi priva di orpelli, e da ogni movenza accorgerci d'un suo fascino lieve, misurato, che sembra dar luce a ciò che le sta intorno.
Nell'intervallo sono andato a trovarle, Valentina
e Alessandra, in un ampio stanzone della stessa cripta, riadattato a camerino.
Osservavo i volti e i corpi accaldati d'entrambe segnati dalla giovinezza,
dentro i loro lunghi bustier neri
e leggeri, a carezzare il pavimento.
Ho amato molto, in quell'attimo, i loro sguardi: gli stessi di quelli di chi ama la musica, di quelli che hanno questo pensiero dentro sé, da seguire, da custodire. Gli stessi di quelli che hanno scelto l'arte come prima cosa, e scorgono il piegarsi, ogni volta, della propria mente agli uguali bisogni di essa, come una creatura sopraggiunta con malia infinita tra le rive del proprio esistere e da ciò mai più ripartirsene.
Ho amato molto, in quell'attimo, i loro sguardi: gli stessi di quelli di chi ama la musica, di quelli che hanno questo pensiero dentro sé, da seguire, da custodire. Gli stessi di quelli che hanno scelto l'arte come prima cosa, e scorgono il piegarsi, ogni volta, della propria mente agli uguali bisogni di essa, come una creatura sopraggiunta con malia infinita tra le rive del proprio esistere e da ciò mai più ripartirsene.
La seconda parte prevedeva Brahms: la meravigliosa Sonata op. 78,
costruita sul nostalgico tema del Regenlied,
tratto dalla collana degli Acht
lieder und Gesange.
La ripartenza del duo è apparsa subito come un’ideale continuazione del percorso beethoveniano, tra le morbide danze dell’archetto qui in perenne dialogo con il ricamo pianistico, secondo l’opzione di uno stile esecutivo asciutto e poco indulgente alle divagazioni romantiche.
Un bel concerto.
Ce ne siamo usciti, noi del pubblico, contenti, pieni di quei suoni. Il tempo di un saluto al maestro di Alessandra, Antonello Mameli lì insieme alla sua bella moglie. E poi via per strada, in cuore alla notte piovosa, con la luce dei lampioni a specchiarsi nelle pozzanghere, e l’ animoso film della gente, dietro ai parabrezza.
Regenlied, dal tedesco, vuol dire Canto della pioggia.
Una coincidenza felice. Quasi che l’inverso tema del tempo lento sembrasse ora seguirmi lungo il ritorno, e farmi ancora compagnia nella testa, tra le case basse del quartiere; prima di disperdersi, sereno, per l’aria di novembre.
La ripartenza del duo è apparsa subito come un’ideale continuazione del percorso beethoveniano, tra le morbide danze dell’archetto qui in perenne dialogo con il ricamo pianistico, secondo l’opzione di uno stile esecutivo asciutto e poco indulgente alle divagazioni romantiche.
Un bel concerto.
Ce ne siamo usciti, noi del pubblico, contenti, pieni di quei suoni. Il tempo di un saluto al maestro di Alessandra, Antonello Mameli lì insieme alla sua bella moglie. E poi via per strada, in cuore alla notte piovosa, con la luce dei lampioni a specchiarsi nelle pozzanghere, e l’ animoso film della gente, dietro ai parabrezza.
Regenlied, dal tedesco, vuol dire Canto della pioggia.
Una coincidenza felice. Quasi che l’inverso tema del tempo lento sembrasse ora seguirmi lungo il ritorno, e farmi ancora compagnia nella testa, tra le case basse del quartiere; prima di disperdersi, sereno, per l’aria di novembre.
Alessandra Fenech e Valentina Inzerillo all'Accademia Chigiana di Siena |
Alessandra e Valentina, alla Chigiana, Estate 2012 |