C'erano rondini, lì, come smarrite tra l'aria del vespro, e non gabbiani. Le loro voci acute, brevi, monocordi, sembravano frangere il caldo riposo della campagne, innanzi alle timide luci dei paesi, adagiati là in alto, sui fianchi flessuosi dei colli.
Quelle luci. Uguali a galassie remote, dai nomi di luoghi d' oriente, Menzil, Herbita, Ypsigro, Jerax: sconosciuti al mondo.
Non a noi, a chi vi scrive.
Luoghi cari come madri, a cui render conto, quando è silenzio, del proprio esistere...
A casa, ho finito per scrivere di mare.
Ho rubato dal web il dipinto, qui accanto, che ritrae una donna che non so.
La sua musica, la sua passione curva sulle corde, percorse appena da effluvi di carezze lente, lievi, dolci, misericordiose.
La dedico a lei.
Avere te.
Con l'odore del mare
accanto
mentre è sera
e la roca voce
intorno
d' un gabbiano che ama.
Avere te.
Tra quella magica festa di fuochi
che infrange Iside e Diomède
mentre acclamo requie d'amore
a notte
in riva a ciò che sei.
Avere te.
Con le tue risa fra le mani
bianche e odorose
della luna piena
e i seni da essenze d' oriente
danzarmi ora
sazi
sopra il cuore.
E poi far preghiera
da grida narranti l'avuto desìo
a che non ceda
l' alba
e il tempo
ai rintocchi del risveglio.
Averti e averti.
Tra il canone infinito
d'una poesia d' estate.
E questi versi
fossero già
delle tue labbra...