martedì 8 luglio 2014

Poesia d'estate


Piccoli versi, scritti  in una sera calma, vicina al solstizio.
C'erano rondini, lì, come smarrite tra l'aria del vespro, e non gabbiani.   Le loro voci acute, brevi, monocordi,   sembravano frangere il caldo riposo della campagne, innanzi alle timide luci dei paesi, adagiati là in alto, sui fianchi  flessuosi dei colli.
Quelle luci. Uguali a galassie remote, dai nomi di luoghi d' oriente, Menzil, Herbita, Ypsigro, Jerax: sconosciuti al mondo.
Non a  noi, a chi vi scrive.
Luoghi cari come madri, a cui render conto, quando è silenzio, del proprio esistere...
A casa,  ho finito per scrivere di mare. 
Ho rubato dal web il dipinto, qui accanto, che ritrae una donna che non so.
La sua musica, la sua passione curva sulle corde, percorse appena  da  effluvi di carezze lente, lievi, dolci, misericordiose.

                                                                   La dedico a lei. 










Avere te.


Con l'odore del mare

accanto

mentre è sera


e la roca voce

intorno

d' un gabbiano che ama.



Avere te.


Tra quella  magica festa di fuochi

che infrange Iside e Diomède

mentre  acclamo requie d'amore

a notte

in riva a ciò che sei.




Avere te.


Con le tue risa fra  le mani

bianche e odorose

della luna piena

e i seni da essenze d' oriente

danzarmi ora

sazi

sopra il cuore.



E poi  far  preghiera

da grida narranti l'avuto desìo

a che non ceda

l' alba

e il tempo

ai rintocchi  del risveglio.




Averti e averti.

                                 
Tra il  canone  infinito

d'una poesia d' estate.

                                 
E questi versi
                                   

fossero già

delle tue labbra...