Scrutiamo il cielo, quel giorno. All’alzarsi del
mattino. Così che non giunga il grigiore
delle nubi, di là di Sàvoca e Montaspro a negarci la trepida attesa della festa.
Soltanto nuvole
leggere vorremmo, sopra i nostri tetti;
bianche come il gregge di Cola che si specchia al bevaio, a rincorrersi tra
indaco e azzurro, fino a quella linea che spiana verso il mare.
Primavera
dev’essere. Avvinta alle gemme risorte dei giardini, allo stridio gaudioso
delle rondini, tornate a infrangere il silenzio delle torri, sbrecciando gli
spazi tra gli archi e le campane, dentro al loro cuore palpitante, tra le
piume.
È tempo di
vestirsi, schiudere gli usci, lasciarsi sferzare dall’ aria di cristallo che
avrà vegliato nella notte innanzi alla finestra.
Lassù, poco
oltre il nostro sguardo, il profilo ineguale delle case sembra essere un
dipinto senza tempo, percorso da un velo perenne di luce, esteso alle campagne
e ai sentieri nascosti tra gli orti.
Quei sentieri,
scenari delle nostre scorribande di fanciulli, delle nostre grida di imberbi
guerrieri, a sguainare dai fianchi spade di cartone, legate alla cinta con lo
spago; e del nostro riposo, poi, all’ombra dei carrubi, appena turbati da un
vago assillo d’amore, giunto fin lì a scuoterci le membra…
Chissà
quant’altro è quel giorno, per noi. È un racconto che ritorna. È la rossa
bandiera di Masi che giace nel baule; lacera, memore di lotte inesauste,
gloriose, per quel morso di terra strappata ai padroni, espugnata con l’armi
delle proprie mani nude.
Il Primo Maggio è
un risveglio, una poesia che ci sprigiona in cuore. E le ragazze appaiono già
donne, dentro le vesti nuove, d’organza vermiglia, carezzate dal sole, dagli sguardi, da mille parole
bramanti, lungo il tragitto che scende alla piazza.
Le loro madri le
osservano, mute, dalle fessure dietro alle persiane, con occhi di miele, con
l’animo d’ansia e di orgoglio, prima di uscirsene anch’esse verso quel luogo
che sanno: verso quell’aspro colle d’astragali e pietre, odorante di rosa
marina, là in alto al paese; verso quel Cristo lucente tra le spere, avvolto ancora nell’ora del
mattino, nel suo amato rifugio di incenso e silenzi…
Ognuno risale
dal proprio sestiere; da Santa Katrìna, dalla Nunziata, da altri più lontani,
per quell’ erta severa poggiata sulla roccia, tra i vicoli ombrosi, di sotto
alle ortensie fiorite dai balconi. È un ansare di fiati , di saluti festosi, di
parole gracili, nude, ora gaie, ora sommesse, sgorgate in
petto a ciascuno, fino al pianoro antistante la chiesa, adagiata su sé,
dormiente quasi sopra i calcari, sfiorata appena dall’alito del vento.
Ci appaiono
lievi le ultime scale innanzi al portale pittato in celeste. L’entrarvi poi è
un fremito sottile, una meta di quiete, l’istante cercato ad ogni Maggio.
Egli prende a
guardarci, allora. Dal suo altare bardato di gloria, di argenti. Tra l’ebbro
effluvio dei gigli e i drappi sfavillanti di damasco; diméntico di ogni proprio
dolore o solitudine. Scarno. Innocente nel suo corpo di quasi fanciullo,
nutrito da una larma di preghiera giuntagli dai campi, dagli armenti, da un
lembo di terra remota…
Sarà il suo
giorno, questo. Lo invocheranno, lo canteranno, gli lanceranno grida di fede,
nella calda letizia del tramonto, mentr’Egli, sulla croce, ondeggiando fra la gente,
in quell’ora scenderà per le contrade, sormontando con l’ombra del suo volto i
confini delle valli e delle alture.
Percorrerà così
le vie maestre, sorretto da uomini scalzi, vestiti di bianco, a guisa di prodi
ed inermi crociati; ad offrirgli ciascuno lo stremo delle braccia, l’imperlarsi
del proprio sacrificio. E l’inversa strada del ritorno sarà come d’antiche
battaglie, compiute in suo nome.
Si alzeranno i suoni della sera, infine. Allo
spegnersi flebile dei ceri, come
lucciole perse dentro l’infinito. Il cielo ergerà le sue tele di cobalto, sopra
i luoghi e le cose.
Anch’Egli, il
nostro Cristo, avrà calma la sua notte. Senza flutti di sangue, stavolta, o
calvari da patire, di contro all’amaro ludibrio della storia. Un sonno di lode
gli giungerà alle membra, insieme alla brezza della Madonìa. Puro come l’acqua.
Nell’ora
silente, in grembo agli stellati.
a.s.
" Al Signor che sulla Croce"
da "Canto di Maggio"
" Crucifixus"
da "Canto di Maggio"