Dalla vettura di prima classe ne discese un uomo sui trent’anni, con i capelli lunghi ben ravviati tra la fronte e il collo, di leggiadra eleganza, nel suo vestito di lino chiaro. Ripartito il treno, si mosse, senza fretta, ad attraversare il binario che lo separava dall’uscita.
Era, quell’uomo, Francesco Bajardi, il grande pianista di Isnello, e ad attenderlo stava una carrozza per ricondurlo al suo paese.
Egli vi tornava, come ad ogni estate, non già con l’uguale gaiezza di rivedere i suoi cari, la casa, i compagni della scuola, ma con un pensiero di più, questa volta, portato con sé insieme ai bagagli e ai suoi spartiti: il pensiero di un concerto al suo luogo natale, appunto; su invito dei nobili del posto, da tenersi nel loro palazzo.
Una certa ubbia del cuore lo prese, il giorno del debutto, mentr’egli, nella casa ch’era stata di suo padre, radendosi con cura davanti allo specchio, si preparava per l’evento atteso.
Sentì, d’un tratto, un pulsare caldo di vene alle tempie, come mille altre volte gli era accaduto nelle sale e nei teatri per il mondo: un tremito di solitaria attesa, verso l' immane vastità di ogni attimo, che ora l'aspettava.
Si calmò, dopo un poco, sorridendo quasi a se stesso, quand’ebbe finito di vestirsi con l’abito di gala e la spilla d’oro e di brillanti che la Regina d’Italia, sua allieva, gli aveva donato a suo ricordo.
Uscì in strada ad un’ora di notte, quando un suono di cicale stanche, sul viale non lontano ancora si udiva per l’aria, come a invocare, invano, il consolo di una luce. Percorse a piedi, il maestro, i pochi metri lungo il corso da casa sua al palazzo e quando vi giunse un lungo applauso l’avvolse, da parte dei presenti, prima di sedere al pianoforte.
Concluse il primo brano, Bajardi. Ascolto' per un poco il mesto rintocco d' un orologio, dalla chiesa accanto. Riprese e suonò ancora: le musiche dei grandi, dapprima; e poi a seguire anche le sue; sempre, le une e le altre, a snudarsi nel loro raggio di cristallo, colmato da echi di brezze, di ombre felici cercate, in cui egli chiedeva rifugio.
E gli parve, nella sera, come a veder passare, in specchio movente, innanzi a sé e agli altri, la sua vita: quel legarsi alla musica come unica essenza d' amore, e con essa, le mute, inesauste ragioni per cui aveva scelto, un giorno, di partirsene...
Il riverbero d’un ultimo accordo si spense tra le mani del maestro ed egli, alla fine, fece come per alzarsi e ringraziare; ma solo in quel momento si accorse che quasi nessuno tra i presenti era rimasto ad ascoltarlo. Se ne erano andati, via via, uno per volta, nella stanza vicina a distrarsi e conversare, lasciando quelle sedie vuote accanto, come alberi spogli di un autunno silenzioso.
Si terse il sudore Bajardi con un fazzoletto di damasco che aveva tratto dal taschino. Richiuse, in gesto lento il coperchio del suo piano e sorrise a qualcuno prima di uscire; ascoltando poi i suoi passi nella notte, nell’inverso tragitto fino a casa.