sabato 12 agosto 2023

Ritorno d' artista (Francesco Bajardi)




 

In una calda mattinata d’agosto, esattamente cento anni fa, un treno partito da Roma ben due giorni innanzi, giungeva alla stazione di Campofelice, frangendo con il suo fischio acuto e i suoi fumi di carbone, l’indaco d'un cielo fermo che dalla Torre  fino al mare di Aspra già dall’alba si stendeva sopra le coste e le ferle ingiallite.
Dalla vettura di prima classe ne discese un uomo sui trent’anni, con i capelli lunghi ben ravviati tra la fronte e il collo,  di leggiadra eleganza, nel suo vestito di lino chiaro. Ripartito il treno, si mosse, senza fretta, ad attraversare il binario che lo separava dall’uscita. 

Era, quell’uomo, Francesco Bajardi, il grande pianista di Isnello, e ad attenderlo stava una carrozza per ricondurlo al suo paese.


Egli vi tornava, come ad ogni estate, non già con l’uguale gaiezza di rivedere i suoi cari, la casa, i compagni della scuola, ma con un pensiero di più, questa volta, portato con sé insieme ai bagagli e ai suoi spartiti: il pensiero di un concerto al suo luogo natale, appunto; su invito dei nobili del posto, da tenersi nel loro palazzo.

Una certa ubbia del cuore lo prese, il giorno del debutto, mentr’egli, nella casa ch’era stata di suo padre, radendosi con cura davanti allo specchio, si preparava per l’evento atteso.
Sentì, d’un tratto, un pulsare caldo di vene alle tempie, come mille altre volte gli era accaduto nelle sale e nei teatri per il mondo: un tremito di solitaria attesa, verso l' immane vastità di ogni attimo, che ora l'aspettava.  
Si calmò, dopo un poco, sorridendo quasi a se stesso, quand’ebbe finito di vestirsi con l’abito di gala e la spilla d’oro e di brillanti che la Regina d’Italia, sua allieva, gli aveva donato a suo ricordo.

Uscì in strada ad un’ora di notte, quando un suono di cicale stanche, sul viale non lontano ancora si udiva per l’aria, come a invocare, invano, il consolo di una luce. Percorse a piedi, il maestro, i pochi metri lungo il corso da casa sua al palazzo e quando vi giunse un lungo applauso l’avvolse, da parte dei presenti, prima di sedere al pianoforte.

Concluse il primo brano, Bajardi.                        Ascolto' per un poco il mesto rintocco d' un orologio, dalla chiesa accanto. Riprese e suonò ancora: le musiche dei grandi, dapprima; e poi a seguire anche le sue; sempre, le une e le altre, a snudarsi nel loro raggio di cristallo, colmato da echi di brezze, di ombre felici cercate, in cui egli chiedeva rifugio.  

E gli parve, nella sera, come a veder passare, in specchio movente, innanzi a sé e agli altri, la sua vita: quel legarsi alla musica come unica essenza d' amore, e con essa, le mute, inesauste ragioni per cui aveva scelto, un giorno, di partirsene...

Il riverbero d’un ultimo accordo si spense tra le mani del maestro ed egli, alla fine, fece come per alzarsi e ringraziare; ma solo in quel momento si accorse che quasi nessuno tra i presenti  era rimasto ad ascoltarlo. Se ne erano andati, via via, uno per volta, nella stanza vicina a distrarsi e conversare, lasciando quelle sedie vuote accanto, come alberi spogli di un autunno silenzioso.
Si terse il sudore Bajardi con un fazzoletto di damasco che aveva tratto dal taschino. Richiuse, in gesto lento il coperchio del suo piano e sorrise a qualcuno prima di uscire; ascoltando poi i suoi passi nella notte, nell’inverso tragitto fino a casa.



venerdì 4 agosto 2023

Quel teatro, dove è in scena l'amore. (A Sara)


     


Sei qui, 

al fuggire di questi mille giorni.


Su questo foglio sperso,

con l'inchiostro del tuo nome

che si increspa di pioggia, 

di germogli,  

di ombre, di parole.


Sei qui. 

Mentre tace il teatro

che ha in scena l'amore

di cui giacciono

le tele,

come barche ferite agli uragani. 


Sei qui.

Dove non è festa

al cantare delle trombe.

dentro a un tempo muto

di luminarie al cielo. 


 

Lontano

- ricordi ? -

e' il sangue vermiglio dei gelsi

che irrompeva alle tue risa.

E bastavi

tu all'anima,

così;

come il marmo 

delle Vergini

ai nostri luoghi di fanciulli

o come a quei viottoli in penombra

a sera  

al tuo passaggio. 


Mi rimane

di guardare le cose  

come tu facevi.

Da sembrare tu cangiassi

il corso dell'onde, dei venti;

ferma a quel timone 

che in guerra lieta

andava

in mente a scìe, a rotte

di Scille o d' Egei…


Sei qui.

E il sempre è in due sillabe,

dentro all'infinito.

Di fessure fra le pietre

a rifiorirti accanto.

Di varchi in linea al mare

la' in tua lode

oltre l'essere o il finire…


Stare qui, 

per te;

con stormi di risuoni all'albe.

O con plettri di carezze, quando è notte. 


E per lanterne e lucciole 

scambiarti.

Se giungermi

tu 

in balzo al cuore. 

Fosse in magica o amara ventura.

A un venuto, o a un perduto rintocco. 


O, per vano

e avverso sogno,

il senso soltanto di un margine d'oro.

A te accanto.



(a.s. agosto 2023)