domenica 8 giugno 2025

Piccolo ritratto per Antonio Osnato.


A che valgono i nostri passi, oggi, ad approdare fino a qui, in Conservatorio. Accanto al portale di questo luogo, pervaso dall’ aria del mare, dai segni della sua storia…

A che vale l’uguale tragitto di un gentiluomo d’ altri tempi: questo giungere tra noi, col suo bastone in cadenza ai gesti, in carezza alle basole immote, lungo questa strada che racconta la vita, la citta’...


La ragione, il nesso, il senso  del  noi essere qui, sta in un solo termine: lesto, breve, ma di tante, ben quattro sillabe, comprese di radice, suffisso, desinenza. Una parola, che dal greco spiega, in un sol tratto, l’arte del compiere, del fare. Poiès: un muovere, un fiorire di labbra in sposo al suo astratto femminile che si fonde in un unico suono: poesia. 

Antonio Osnato, sui pietrai nudi o tra le spiagge feconde del suo vivere ha nutrito la prosa, i versi, come propri esseri in legame di sangue; in un vincolo di affettuosa, costante, sacra dedizione. Scorgene di essi il prender vita come esili germogli nei mattini, o come fuochi, all’ annegare del sole.

O altro. O piu’. 

Se ne traducono messaggi, aforismi, metafore visive, scolpite, immaginate per dove abbia dimora un cuore: di uomo o di donna che ascolti, che muti il proprio volto all’arrivo di incise assonanze, di turbamenti accesi, o di risa festose in seno agli occhi. 

Al pari delle facce di un diamante, per un poeta quale è Osnato non esiste spazio, o angolo o materia che non possa rimanere inesplorata ad acclamare una luce. Il bisogno  di battito, o attimo da non essere vissuto o cantato nel petto. Dentro la sua meta di pace o fervore;  o in piega ad ombre di tristezza nuda  o nella falce splendente blandita per  ferire il male. 

Egli, dentro a una fierezza in voce al tempo, dà sempre sguardo ai suoi libri, all’ arco dei suoi scritti,  in calda misura d’ un padre;  ad accendere pensieri, a incuriosire, a sferzare ai guisa di una lama  sulla pelle, a spiegare amarezze a disvelare verità, per deformazione intrinseca,  o per passione d’una intera vita, a ricercare il giusto. Se ne evince allora il dipinto di un uomo, dal lignaggio sincero. Anche controverso, in talune sue pieghe ma,  in quanto uomo, degno di essere tale. 

Sulle  cose, è il navigare della dimensione umana che affiora ad ergersi; in foggia di vele ampie, generose, in rotta felice a frasi, a parole.

Se ne trae, allora, la scena di un magico sacco, per noi. Con dentro  una rosa, un oggetto, una fiaba che parli d’ amore, sottratta, a nude mani, dal vuoto, dal nero sipario del silenzio. Con l’ intento alla fine in sé, di perseguire, dall’ arte, i tratti, il segno di un granello vivo che chiami alla bellezza.  La goccia ultima a trarne linfa. Giunta fin lì. Per dono di Dio.

lunedì 2 giugno 2025

Canto per Gaza (A Rashid)



CANTO PER GAZA

Rashid, il cuore, al mattino a noi stringi
mentre, a quel muro, speranze dipingi…
Tra il tuo dolore di stracci nel petto
senza una pace e mai stelle, per tetto…

Dove relitti di pietre e di tombe
non hanno voci di azzurri o colombe
tremanti a un boato, d' un frangere secco,
tese a quel ramo d’ amore, tra il becco…

Rashid, la preghiera è un giungerti cruda,
sopra a quel lembo di polvere nuda…
Né anche mai rose, tra il grano e le spine,
tra giochi in malvagio, assurti alle mine…

Tu, dentro a fiamme dipinte già in stuolo
e il grembo inerte d’ un bianco lenzuolo.
Né notti in schiera, di fiabe o reame
ma sogni in ombra a un ghermire di fame …

Rashid, tra soldati in divise d’ orbace
accanto al mondo che ignora, che tace…
A chi in schiera all’ armi si arroga la mente
e va, e uccide gli occhi a un sussurro innocente…

A chi estirpa un letto, un campo o carezza…
senza che il mare conceda una brezza…
A chi nega il tempo, una storia o bandiera.
Dentro a canzoni di mai primavera.
...
(a s. 2 giugno 2025) 


domenica 4 maggio 2025

La tragedia di Superga ed i funerali del Grande Torino, "La Settimana In...






Per caso mi imbatto, stamattina, in una cronaca filmata sulla tragedia aerea di Superga del quattro maggio 1949 e sul grande Torino, di cui nessun campione sopravvisse.
Pur da una certa enfasi e retorica del racconto, non ho saputo trattenere, con moto sincero, le lacrime.
Quanta poesia, tra quelle parole. Uno scorrere di tenerezza che ci manca, oggi. Una fiaba o un dramma, là narrati in punta di penna, che ci sembra non scorgere più.
Quanto orrore, in noi, nei giorni luttuosi innanzi a papa Francesco; per gli scritti, per le poesie in rima su di lui copiate dall'intelligenza artificiale, spacciate per proprie e pubblicate sui profili.
La santità, l’ esempio ineguagliabile presi per la giacca, o meglio, per la tonaca. Dove anche l’ anima appare sfrontata, oltre ai gesti, poi, tra i peana al prosciutto del leader di turno.
O dove anche Gaza con la sua umana distruzione viene commentata, nelle sere in tivvù come al bar, nei suoi pro e contro, uguale a una ridda da Colosseo.
Queste poche righe, stamane, stentano a concludere, innanzi alle grigie pieghe del domani. Ci toccherà sempre più cercare carezze, quasi come segni rari o estinti, al cospetto del dire, dello scrivere o del suonare. Come un granello d’ oro dentro all’ asprezza del fango. O una dissonanza felice, una goccia minuta di perla, scampata al vociare di un rap.Per caso mi imbatto, stamattina, in una cronaca filmata sulla tragedia aerea di Superga del quattro maggio 1949 e sul grande Torino, di cui nessun campione sopravvisse.
Pur da una certa enfasi e retorica del racconto, non ho saputo trattenere, con moto sincero, le lacrime.
Quanta poesia, tra quelle parole. Uno scorrere di tenerezza che ci manca, oggi. Una fiaba o un dramma, là narrati in punta di penna, che ci sembra non scorgere più.
Quanto orrore, in noi, nei giorni luttuosi innanzi a papa Francesco; per gli scritti, per le poesie in rima su di luPi copiate dall'intelligenza artificiale, spacciate per proprie e pubblicate sui profili.
La santità, l’ esempio ineguagliabile presi per la giacca, o meglio, per la tonaca. Dove anche l’ anima appare sfrontata, oltre ai gesti, poi, tra i peana al prosciutto del leader di turno.
O dove anche Gaza con la sua umana distruzione viene commentata, nelle sere in tivvù come al bar, nei suoi pro e contro, uguale a una ridda da Colosseo.
Queste poche righe, stamane, stentano a concludere, innanzi alle grigie pieghe del domani. Ci toccherà sempre più cercare carezze, quasi come segni rari o estinti, al cospetto del dire, dello scrivere o del suonare. Come un granello d’ oro dentro all’ asprezza del fango. O una dissonanza felice, una goccia minuta di perla, scampata al vociare di un rap.


Il valore delle antiche cronache. Il vuoto di oggi.




Per caso mi imbatto, stamattina, in una cronaca filmata sulla tragedia aerea di Superga del quattro maggio 1949 e sul grande Torino, di cui nessun campione sopravvisse.
Pur da una certa enfasi e retorica del racconto, non ho saputo trattenere, con moto sincero, le lacrime.
Quanta poesia, tra quelle parole. Uno scorrere di tenerezza che ci manca, oggi. Una fiaba o un dramma, là narrati in punta di penna, che ci sembra non scorgere più.
Quanto orrore, in noi, nei giorni luttuosi innanzi a papa Francesco; per gli scritti, per le poesie in rima su di lui copiate dall'intelligenza artificiale, spacciate per proprie e pubblicate sui profili.
La santità, l’ esempio ineguagliabile presi per la giacca, o meglio, per la tonaca. Dove anche l’ anima appare sPfrontata, oltre ai gesti, poi, tra i peana al prosciutto del leader di turno.
O dove anche Gaza con la sua umana distruzione viene commentata, nelle sere in tivvù come al bar, nei suoi pro e contro, uguale a una ridda da Colosseo.
Queste poche righe, stamane, stentano a concludere, innanzi alle grigie pieghe del domani. Ci toccherà sempre più cercare carezze, quasi come segni rari o estinti, al cospetto del dire, dello scrivere o del suonare. Come un granello d’ oro dentro all’ asprezza del fango. O una dissonanza felice, una goccia minuta di perla, scampata al vociare di un rap.

domenica 19 gennaio 2025

Immagino i tuoi baci



Immagino i tuoi baci

tra la neve.

Come un germoglio

che migra, 

acceso 

nelle nebbie.



Che va.

A quell’ ergerti

tu, viva, 

su strade spoglie 

tra le vene e il cuore.


Immagino i tuoi abbracci

come fa l' airone tra i canneti.

Anche tu, in ricamo al tempo

e sulle cose intorno, 

Al grido caldo d' una tua sola luce.



Immagino i tuoi gesti

anche lievi come foglie

e poi vasti, come stelle dai ginepri, 

là muoversi, acclamanti

quel desìo d' oro apparso nella stanza.



Immagino 

qui

il nostro amore 

in quell’ alba redenta dai ceppi,

di ambre cangianti, 

di faville pazze 

posarsi a te, in mai quiete.



Tu,

in quel giaciglio di labbra e petali di rose.

In quella storia sonante e senza fine 

che tu sei.


Che anche lontana 

hai luogo.

A quel riflesso di diamante 

che al tuo nome approda, 

e muore.

Come musica perduta 

del suo fiato...


Così che torni

poi, 

di florida giostra 

a quel baleno dentro all'aria. 

E quel volteggio,

risorto a chiamarmi

a prendermi, così,

da ogni muro od ombra.


Qui.

Nel tutto che tu sei.



(a.s. gennaio 2025)

domenica 1 dicembre 2024

Quel sorriso, come giunto dal mare. (ricordo di Vitalba Petruso)


“ …Dintra a sta solitudini prufunna

      lu màrmu eni cchiù friddu di la nivi…”


                            (G. Mazzola Barreca)


Rimaniamo qui, 

scrutando, pensando al bilico tra la bellezza e il dolore, alle opposte sembianze dell’una e dell'altro, di una luce avuta per noi e negata agli occhi, a un volgere di istante.

Vitalba, è un nome che evoca il tuo incanto.     L’ esistere che sorge, in lustro a te come donna, moglie, madre, come quello che sei stata.

Colta, maestra, leggiadra; dentro a quel  sorriso come giunto dal mare, che varcava le finestre, e ci rendeva muti, nella tua aria accanto, sia che fosse di vastita’ o di parole.

Tu, compagna in classe, da Vincenzo Mannino, compagna e a tua volta insegnante.  Con la musica, in giungerci ed espandersi di storie, elzeviri, quieti sortilegi, dentro a un fiume di memorie vive, da te, scaldate al cuore, prima e sempre. Se ci chiedessero dove il fascino, con il suo strascico dipinto tra le cose, avesse per sé un proprio luogo o giaciglio risponderemmo con le sole tre sillabe, a chiamarti. Oppure, con le fiaccole a dar spazio o a render calda qualunque tua dimora. 

Era bello, scorgerti, Vitalba, tra quelle molte sere ebbre delle tante stelle;  poichè la grazia e la scena che ponevi intorno, recava, allora, il senso e il cerchio d’ ogni paga e avuta tua bellezza.

Era edificante, d’ un uguale modo,  il tempo dello stare insieme, il tuo spartire ciò che avevi in petto, per quelli a te cari. In primis il tuo uomo, le tue figlie. E noi amici e discepoli. Dentro a quell' andare cadenzante, che appariva alla tua voce. In dono atteso, sopraggiunto, come innanzi a un trepido muovere di foglie. 

Ora, che da te ci pervade l’ assenza di un solo germoglio di suono, ogni cosa daremmo pur di un suo ritorno, d’un suo acerbo rinascere.          Fosse un vento o una brezza che ridisegni, tra le sabbie, lo stupore dei tuoi tratti, Vitalba.        O un raggio tra i mattini pervadersi di te. O un bussare redento di affetto. Per noi, ancora giungere adagio, dall’ aula 24. 


a.s. dicembre 2024

In ricordo di Vitalba Petruso, allieva di Vincenzo Mannino, pianista e insegnante al Conservatorio di Palermo.

Un caro abbraccio alle sue figlie Letizia e Emily. 


domenica 6 ottobre 2024

Il Mastro di romanze









Mi e’ venuta voglia di un racconto. Un bozzetto vero.  
Che parla di un amico artigiano e musico. 
Nome e cognome,  bravo, a far l' una l’altra cosa, in quel magazzino a pianoterra, nella zona del centro citta', con le mani dedite al suo umile mestiere.
Lavorava, lavorava, chino con le spalle, già al venire del mattino. Aveva un giradischi, con le opere, adagiate su uno scranno accanto. Kraus, Pavarotti, Del Monaco, Corelli, Bergonzi.
Lui cantava, cantava, appresso al vinile. Con i passanti dietro al vetro del negozio, ad annuire. Sorpresi, lieti, commossi, a volte; mentre il tono dalla voce fuggiva tra gli usci e le fessure, come un fiume caldo, dritto ai cuori.
Un angelo, era. S. Con la fronte stretta verso gli occhi. Manrico, Edgardo, il Conte di Luna…
Entrava in ognuno di questi, in esatta movenza  del viso, animandone  le storie e le passioni, dentro al suo liso grembiale grigio azzurro.  
Un giorno passo' da lì uno del teatro. Uno grosso.
Si turbo', ascoltandolo, penetrato da quelle arie e romanze gravide, in manto di bellezza  la', nel mezzo della via. 
Gli lascio' di fretta il biglietto da visita. 
Dopo qualche giorno, scesi dal palazzo e trovai chiusa la saracinesca. C’era  una scritta a penna su un foglio attaccato con lo scotch:il negozio apre solo dalle 7 alle 10 di ogni giorno.
S. mi conosceva. Ero quello che suonava il pianoforte, al quarto piano.Pochi giorni dopo mi chiamò, mentre ero sul portone, pronto verso la scuola,  dandomi una busta per la mia famiglia, coi biglietti dentro, come ricompensa affettuosa per le cassatelle di mamma, in dono a lui, tante volte per quell' incanto delle mille romanze, fatte in quell’ angolo di strada  
S. era entrato nel coro. D' amblee'. Come Cenerentola o Tamino, nel castello dei sortilegi lieti.
Il solfeggio, per lui, era stata un alchimia indecifrabile, sopraffatta dal talento naturale. Notti e notti, di lombardi,  va pensieri, regina cieli, e pure ianacèc, messiàn,  sempre appresso ai dischi, a cavalcare le onde di quei suoni, come a un destriero, in praterie di incanti. 
Andavo sempre a teatro. Ora da trent'anni non vado quasi piu'. 
Salivo in loggione, nella claque di L. Applausi comprati dall' entrata gratis. Una pratica utile, per gli studenti, noi, di allora. 
Ogni volta, là in scena lo cercavo, il mio amico S. tra i tenori. Come si fa con un nostro prediletto, di cui si seguono le gesta e l'eroico cadenzare dei cammini.  Col frac, dietro ad alfredo, o col saio di nabucco.
Per anni S. continuo’ a recarsi, dalle sette alle dieci, al suo mestiere;  di mani, di spalle riverse  
su oggetti, utensili, materie. 
Ogni tanto ripartiva, con la musica in petto, nel grembo delle piogge o dei sereni: mezze voci, recitati, cabalette,  dentro a viaggi da guerriero, da poeta o locandiere. Con l’ intatto velluto del protagonista, in magia e fierezza, di là dalla vetrina. Con  il suo cenno, il suo garbo quieto e impalpabile d’inchino; dato alle donne là davanti, col carrello della spesa; al bambino con il fiocco blu; ad altri lì per caso, stupiti di quei suoni pieni e fecondi, seguìti, non di rado, con le lacrime tra i volti. 
Ciascuno, fermo sulle perle di quel canto puro, inatteso. La’ a sopraffare in aria e in carezze  il caos, il grigio distacco del tempo,  in seno alla strada e alla citta’. 

a.s. ottobre 2024