domenica 3 marzo 2013

Conservatorio, il valore di un vecchio diploma.

Francesca Librizzi, 20 anni da Polizzi Generosa al suo esame di X anno.


... con brevi parole  sul valore del vecchio ordinamento di pianoforte

                               Palermo, 25 febbraio 2013






Mi sono svegliato presto, lunedì passato. Un po' per via della notte difficile, raffreddore compreso. Il pensiero del diploma di Francesca trovava in quel mattino il suo culmine, la sua compiutezza; dopo dodici anni di percorso, dopo ultime settimane volte  a spartire inquietudini, tremori di cuore, sogni sospesi  verso la  meta di un giorno.
Uscire da casa sotto la pioggia di febbraio, avendo in sé la quieta idea di un accordo maggiore, il la bemolle della 110 di Beethoven, ci fa intendere quanto a volte sia consolante il nostro lavoro; quanto, ad esempio,  il  clamore del traffico risulti poco male se congiunto nella mente alle ariose ascese degli arpeggi - Beethoven appunto - con cui Francesca avrebbe da lì  a poco iniziato il suo programma.
Arrivare in  Conservatorio attendendosi la voce di Mario, il posteggiatore, che da vent'anni t'accenna la stessa canzone, (Con te partirò, !) sembrerebbe in quell'ora mattutina come il segno d' un atmosfera ferma, rituale, immutabile, se non vi  giungessero  il profumo e le tinte del mare, da poco lontano, con le sue tele cangianti e e il suo melisma di luce, innanzi alla città.
So, anyway...
Varcare il  portale del Bellini da oltre quarant'anni, equivale per me, sempre, imprescindibilmente a una ragione di far  festa. E' un meraviglioso harem sonoro, la nostra scuola; dove, salendo per le scale, il Laudate Dominum dell'aula di canto ben si mischia al Mephisto della stanza 21; dove i puri disegni di William Byrd sembrano confondersi coi flussi lievi dell'onde elettroniche.
Lunedi, per la sessione d'inverno, si sentiva più silenzio. C'era il Diploma di pianoforte. Per prima suonava Francesca.
L'attacco della Sonata 31,  nel suo sipario di armonie serene sul palco dell'Aula Scarlatti  giungeva a  dar vita come a un semplice, nuovo racconto sonoro; ai suoi quadri, alle sue scene, entro una linea d'orizzonte entro cui poter lasciare -  lei, nell'ultima prova da allieva  - la semplice essenza d'un pensiero, le ansie fruttuose, ogni  gesto cresciuto  all'alternarsi del lavoro e la fantasia, i dilemmi e le certezze, il rigore e la libertà.
C'era da mostrare tutto questo, onestamente: senza aspettarsi trionfi o temere disfatte, come amiamo ripetere da sempre.
Già.  Sono difficili, i diplomi di pianoforte. I vecchi diplomi, s'intende. Celano in sé tutta la  dura, fascinosa magia d'un mestiere così incantevole quanto inesorabile; attraversato dall'austera verità delle note scritte e, per questo, mai equivocabili. Non solo. Una verità  ancora assai intransigente, orgogliosa, poiché posta  al vaglio  d'altre regole se vogliamo ancora più alte; dettate, suggerite nel tempo dai grandi interpreti, dalle grandi scuole e divenute a loro volta indissociabili pietre di paragone: dogmi, quasi, di giustezze creative. E su ogni cosa - per Francesca, e gli altri con lei -  il nudo della propria umanità, fisica, intima,  da mostrare su un palco ad  un preciso istante, senza appelli o riprove, con l'obbligo di svelare le schegge di poesia tenute dentro al cuore,  vissute tra il confine di serbarle per sé e la speranza, invece, d'essere accolte...
In onore a tutto ciò e al suo senso mi è piaciuto indossare il vestito nuovo e la cravatta, l'altro giorno al diploma di Francesca. Come le altre volte, del resto. Come si fa in giorno festoso, importante. Come a un matrimonio. Con i parenti, trepidi, fervidi, invasi d'emozione, quasi che avessero il metronomo nel petto nel seguire Brahms e Debussy; con le belle signore, placide come davanti a una laurea qualsiasi, a sfoggiare in poltrona  i sensuali e intricati arabeschi delle calze; con gli amici, quelli veri,  discesi soltanto per lei  dalle alture innevate delle Madonie; con i compagni di pianoforte, combattuti tra la gioia della musica e la riposta  inquietudine d'immaginare sé stessi, domani,  in quell'uguale impresa; con chi vi scrive, tentato ormai invano, giù in sala,  dal bisogno di far strada, per Francesca, all'ultimo frammento d' un respiro o d'un colore.
Alla fine, lunedì, il riverbero della Toccate da Pour le piano affidava alla musica la sua sentenza felice: quel voto, quel dieci maximum, appagante che lei, la nostra giovane pianista aggiungerà ai ricordi delle cose più care.  Un segno. Un segno che intanto può bastare.
Prima che un richiamo tornerà a bussarle dentro. Il richiamo di far bene, ancora e di più,  in quest'arte per cui ha vissuto.



 "..Artificis maxima virtus est labor..."





Francesca Librizzi  al  suo diploma





A margine di questa pagina, vorrei dire grazie al papà di Francesca, Gandolfo Librizzi, mio amico.
La mattina degli esami, ancor prima che la mia allieva suonasse, ha voluto farmi dono di un pacchetto che, con una certa distrazione,  ho riposto nella mia cartella.
Tornando a casa, riaprendo casualmente la borsa e appena scorto il plico, vi ho scoperto, insieme a una lettera la custodia di un DVD con una dedica.
Ho avuto la curiosità di conoscere da subito il contenuto del disco.
E ho trovato una piccola, grande, commovente sorpresa:  c'erano tutti i video di Francesca, al pianoforte.  I suoi saggi, con lei ancora bambina,  e poi, di volta in volta, le vittorie e  i premi  ai Concorsi, fino agli ultimi concerti.
Mi è venuta in mente la sequenza dei baci in Nuovo Cinema Paradiso...

Credo  che questo dono sia valso tutto il lavoro di questi lunghi anni.










Francesca Librizzi esegue la Sonata op. 110 di  Beethoven