lunedì 5 febbraio 2024

I giovani nella musica, tra le ombre e i sogni.



Sentiamo approdare, innanzi ai nostri ragazzi di domani, un certo moto o leitmotiv di sofferenza.

Sentiamo, a volte, a lezione, una sorta di morso lieve, costante, che affligge ed inquieta, nel non poter dare un pò più di sereno, al loro avvenire.

Sentiamo mutare, ad ogni mattino, il senso o la sembianza di una meta: una linea di orizzonte che scorge la musica, il suo cuore,  come fosse una essenza distaccata. Che prende  sentieri tortuosi invece della via maestra.

Quale e’ la linea di noi insegnanti, da perseguire, in ombra ad un Adagio? Conviene partire daccapo oppure cambiar brano? Ricercare nella stanza, con gli allievi cari, un po' di suono, un po' di sole che riposa sulla dominante, o passare oltre, in virtu’ d’ un apprendistato più globale? Se, poi, domani - ciascuno di essi penserà -  devo mettermi su un treno, fare la sardina su un aereo irlandese, a fare esami concorsuali, con un programma qua, o un altro, opposto, là, a smarrire il bisogno, invece, di una luce che più accarezzi il senso di cio’ che la musica acclama, vuole, pretende. Verso un incanto che appaia più compiuto. 

Questo e’ il dilemma. Se l’ Arte, quella con la lettera giusta, vuole la virtu’ che sta nel mezzo, il distacco dall' essenziale, i giorni di lavoro devastati da plurime materie e le ore a brandelli, oppure attendere un po’ di bellezza che giunga sull’ uscio, che bussi alla porta, che sveli il germe stesso di ciò che, nel tempo, abbiamo cercato. 

A cosa, di contro, si pensa? A una frase, ad esempio,  da uno studente,  ascoltata appena ieri.

“...Maestro, ho sempre sognato a un bel Concorso serio, dopo la laurea, dopo le metodologie, che fanno girare i cabbasìsi. Studiare, suonare si deve, tutto il giorno. Però, sa, sogno anche di insegnare.  Le chiedo, forse bisognerebbe riscriversi ancora, fare punti, altri corsi, mettersi al sicuro. Maestro, leggo le storie dei pianisti…Trifonov coi piatti del pranzo sopra al piano. La Grimaud alla notte, con il suo Steinway, per meritarsi due ore al mattino, coi suoi lupi…. Quanto vorrei di questa sacra dedizione! Provarla almeno!"

Ascoltando quel ragazzo, al tacere dei suoni, di quel la bemolle là spento, poco a poco,   non ho trovato parole volte a incoraggiare, o a illudere, in lui, l’ aria dei suoi pensieri fervidi, protesi al divenire. Non c'è tanto da sognare,  in questo paese che dilania i percorsi, le effigie stesse guardanti la sfera e le cose della musica.  Quell' alta formazione, soprattutto,  di cui stentiamo a riconoscerne, oggi, tratti o sembianze che siano luminose.  L' ho salutato, poi, a non voler scoprire la piaga d' un discorso, negli attimi seguiti al suo riporre gli spartiti nella sacca. Con quel Liszt del Widmung, intanto, che sembrava non voler andarsene dalle pareti, da quella finestra; prima di cercarsi una brezza, verso quel mare di fronte alla strada.    

È qui il punto. Di la’ da certe riflessioni un pò percorse da amarezza, la Musica, con la sua  sofferta identita’ formativa,  anche se  percorsa dal dolo o dall’ indifferenza,  finisce nel permanere ugualmente, in noi. O in chiunque, che, per studio e per bisogno, ad essa si accosti. Come una roccia incurante del maestrale. Racchiusa tra lo stesso bisogno di amarla. Tra il grembo della sua verita’ d’ essere. Che, solo per questo, merita e invoca un segno di tre sillabe soltanto tra gli uomini o i luoghi chiamati a sostenerla: il rispetto. 

 


  






  

























  

 

 


martedì 16 gennaio 2024

La casa di Biagio


LA CASA DI BIAGIO

I pellegrini di Palermo vanno, in lento sguardo di pensieri, di silenzi, verso Biagio;
un cammino quieto, accorato, tra i filari dei cipressi, fino alla sua casa.
Anche Gaspare è lì, in fila. La sua baracca a ruote è rimasta chiusa, nel garage: niente tepore di sfincioni, da vendere per oggi.
Parla, egli, tra il silenzio del viale, con un filo dolce alla mente, pensando a Biagio: a quelle guantiere calde, uscite dai pulmini, a quegli odori fumanti per Jaìl, Muusuh, all' alba, con le loro facce di ebano e di stenti; un pezzo di cartone per giaciglio, nel vecchio portico accanto ai binari. Sono molti, i viandanti, come parte di un assorto fiume, con un segno o un arabesco d' amore, ciascuno, serbato alle labbra. Hanno passi  in misura di adagi dolenti, ma sereni, dove il degrado, accanto, tra le magre rive dell' Oreto sembra non mostrare il suo senso di bellezza ferita, di luogo dimentico, avvezzo all' abbandono. 
Si va, insieme. Non fumano, i bracieri di stigliole, lá vicino, appese al ferro filato.
Anche Ignazino, ha chiuso la sua bottega sopra al marciapiede, per un giorno, ed è li', in cadenza uguale con gli altri, in lentezza, sotto quel celeste e terso cielo del mattino. 
" Passava sempre, fratello Biagio - racconta 'Gnazino -  E gli dicevo a lui se voleva una stecca cu i stigghiuola. Mi rispondeva di no, con i suoi occhi azzurri, bellissimi, persi tra risa gioiose, invitando  poi Ahmud, Ngibeh, e gli altri compagni ad assaggiarle.
Bisognava vederlo, Biagio, a guardare quei picciotti, con quelle mani nere, tese nell aria, contenti di quel mangiare in mezzo alla strada… "

Ci sono tanti pellegrini, intanto, sul piazzale da cui si erge la chiesa. Hanno il tempo di scorgere altri fratelli e compagni di Biagio là in schiera, come immagini di film che raccontano il dolore; alcuni di essi, seduti su grandi latte di vernice. Altri due in disparte, hanno al collo fazzoletti rosanero. 
"...  'U Napuli avi a Maradona…"  - parla il piu' giovane, Ninuzzo, a voce roca -  "...E nuatri avèmu a fratel Biagio..."
Si intenerisce, una signora accanto, al guardarlo, al sentirne quel suo moto d' orgoglio, quel guizzo fiero; di contro a una sua solitudine  come scolpita, provata sulla pelle, chissà da quali storie amare.
Il pensiero, in quel momento corre alla città, trent' anni dopo i balconi con le foto di Giovanni e di Paolo, campioni, e guerrieri anch'essi, in mente e in nome alla giustizia. E sembra il ritorno a un acclamare, sommesso ma vivo a un luogo che spera, che si avvinghia a questi santi in seno agli ideali, che ne custodisce i ritratti alle pareti o dentro al portafogli. 
E ora Biagio, qui. 
Icona dolce e forte della carità umana, del sostegno e del canto agli ultimi, da questa o d' altra latitudine, approdati a Palermo, per deserti o per mari. Biagio che va a piedi di gesti, di parole; che si nutre della polvere stessa dei sentieri, che digiuna, per amore a noi, al suo Cristo; che invoca, si dispera sulle bàsole nude, per un solo amico perduto…
Entrano i pellegrini, a trovarlo, a salutarlo, mentre egli dorme disteso nella pace. 

Ognuno si ferma, innanzi alla parabola d' oro di lui, racchiusa tra il dono dolce d' un pugno di istanti. E, a osservarlo, ora,  in quel battito di letizia, di dolore grande, sembra come un Gesuzzo scolpito in croce, scrutato, amato dalla gente, in un paese non lontano di balze e ginestre, dentro le grate di incenso e silenzi.  
Il suo incarnato di uomo d' oriente, il gesto strenuo, che giace nell' uscio socchiuso del morire, del risorgere. Tra l' uguale bocca che soffre e che svela, al contempo, i tratti, l'effigie, l'attesa brezza del sorriso. Tra la stessa sembianza, o speranza, di scorgerlo in specchio e in ritorno ai volti di quelli che amiamo. Quelli che sono accanto e vivono  oltre noi e che in ogni tempo, fosse a una spiaggia, a un cortile,  a un orto dietro alle case, di certo, o in desìo, 
incontreremo.

a.s. gennaio 2023 

In bonu pani...



Dintra a stu nvernu,  spersu di culuri
a terra sta a cuvari 'nu só sciuri.

E cca’,  in silenzi, crisci gia’ spiranza
du to' paìsi, 'n cori, a ttia, in sustanza.

Li sònnira d' un toccu di campana
d' un sciumi in sonu, ca pill' aria acchiana.

L'amuri, c' arrisèdi ntra a to' menti:
'n bonu pani,  spartutu cu la ggenti...

U tempu, in volu, movi dda’ u so cursu
comu acqua, in pàrmu di na manu, in sursu.

E tra u destinu, ‘n grembu a gh’ jorni e sìri.
va’ un cocciu di pinzèru, in mai murìri.


a.s. gennaio ' 24

venerdì 29 dicembre 2023

Bastasse, la tua voce...



Bastasse, qui, la tua voce;
dal lacero, lontano ferire dei silenzi.
Dai rami nudi 
di quel tempo senza te.

Quanto bastasse, questa voce,
tra i mille denari spesi in me, 
dal cuore,
a riportarmi, qui, allora, 
l'avuto adagio della tua bellezza.

E come, la tua voce
mutasse il passo di un pensiero;
a un poetare
di fuochi nella sera;
di trepide scene, accorse al tuo petto, 
la' pervadersi, 
d' un canone infinito. 

Quella tua voce 
che entrava sulle cose,
dentro a parole mai vedute.
E per questo
di dolce, magnanima luce.

E quanto erano
le notti,
in sembianze scritte sulle labbra;
come pagine, là,  
in tasca ai viandanti, 
da cui mai 
separarsi.  

Tu,  
mio dolce suono cercato;
in quest' aria che spoglia l'inverno
in quest' oboe qui 
d'aride canne
che muove al suo vibrare.

Mio acceso grido
che si converte di creta felice,
di materia in vita,
che tu sei.

Mentre volgi e schiudi, 
l' arduo forziere
degli andati giorni, 
dei segreti: 
ciò che vi sia dentro,
per me,
al tepore di un  germe, 
o in sigillo.

Cosi' che possa
in ogni quando,
tu, o sempre, 
recarmi l'amore.

(a.s. dicembre 2023)


martedì 12 dicembre 2023

A ONURI ALL' ARTI TÒ (A Pino Riggio)


A ONURI ALL' ARTI TÒ…

(A Pino Riggiu)


Scrivìu n' endecasìllabu spariggiu

pi ttía, me caru professuri Riggiu.

Na iunta di paroli nta na gìstra

a onùri all'arti tò, granni e maìstra.


L' arti di dari lustru a li pinzèri

comu àlbiri, 'n capu a li trazzèri.

L' arti di dari sciàtu a la to' menti.

in donu a lu sapìri di la ggenti.


L' arti d' arritruvari 'u mari e l' ùnna 

dintra ogni cosa, ca' nto còri abbùnna. 

L'arti di dari vuci a na poisìa.

ntra l'aria ca' si sperdi, pi la vìa. 


L'arti c'hai di cantari u tò paisi

ntra un chiòviri di stiddi e paraddìsi;

tra un lúciri di Fròttuli e Casàzzi.

ntra suli, nivi e luna cu i sò sprazzi...


E penzu ora, a' notti nmenzu i lumi

a la to' vita, 'n scùrriri di sciùmi.

A un vèniri di gràzii e di tempesti

di primavèri, di Santi e li so fèsti.


E mmagginannu 'u sonnu  to' cchiu' granni 

ti vidu, comu un ventu ntra li canni.

Com' un cristianu, dintra a la so' storia

chi mira sempri a Diu e la so gloria.


Ed ora ca passasti a un sacru munnu

in nui u duluri junci, assai prufunnu

Un grazie, a ttia , tra nu pinzèru assortu.

Innanzi a la speranza d' u Risortu.




giovedì 23 novembre 2023

A Santa Cecilia



A SANTA CECILIA 

Pensarti qui, Donna, a un autunno di bacche

'n silenzi di foglie a smarrirsi sul prato;

tra il mare il suo canto, la' in spume e risacche

al quando ci rechi, nell' albe, un vibrato. 



Il nostro vagare o Cecilia proteggi

che va lungo i giorni e le sere dei suoni.

E rendici forti, tu, i fragili ormeggi

poi mutaci il cuore, in carezze e perdoni.

 
O Tu che sei Madre di noi musicisti,

t'approdi qui il fiato di queste parole;

chè mai, nell'amarci, o Signora, desisti

a che ci sia lieve ogni ombra che duole.



La Terra t'ascolti il suonare di cetre

che invade e sconfigge il pensiero che tace.

E un fiore che si erga, tra l' aride pietre

effonda  una pura speranza di pace...

sabato 12 agosto 2023

Ritorno d' artista (Francesco Bajardi)




 

In una calda mattinata d’agosto, esattamente cento anni fa, un treno partito da Roma ben due giorni innanzi, giungeva alla stazione di Campofelice, frangendo con il suo fischio acuto e i suoi fumi di carbone, l’indaco d'un cielo fermo che dalla Torre  fino al mare di Aspra già dall’alba si stendeva sopra le coste e le ferle ingiallite.
Dalla vettura di prima classe ne discese un uomo sui trent’anni, con i capelli lunghi ben ravviati tra la fronte e il collo,  di leggiadra eleganza, nel suo vestito di lino chiaro. Ripartito il treno, si mosse, senza fretta, ad attraversare il binario che lo separava dall’uscita. 

Era, quell’uomo, Francesco Bajardi, il grande pianista di Isnello, e ad attenderlo stava una carrozza per ricondurlo al suo paese.


Egli vi tornava, come ad ogni estate, non già con l’uguale gaiezza di rivedere i suoi cari, la casa, i compagni della scuola, ma con un pensiero di più, questa volta, portato con sé insieme ai bagagli e ai suoi spartiti: il pensiero di un concerto al suo luogo natale, appunto; su invito dei nobili del posto, da tenersi nel loro palazzo.

Una certa ubbia del cuore lo prese, il giorno del debutto, mentr’egli, nella casa ch’era stata di suo padre, radendosi con cura davanti allo specchio, si preparava per l’evento atteso.
Sentì, d’un tratto, un pulsare caldo di vene alle tempie, come mille altre volte gli era accaduto nelle sale e nei teatri per il mondo: un tremito di solitaria attesa, verso l' immane vastità di ogni attimo, che ora l'aspettava.  
Si calmò, dopo un poco, sorridendo quasi a se stesso, quand’ebbe finito di vestirsi con l’abito di gala e la spilla d’oro e di brillanti che la Regina d’Italia, sua allieva, gli aveva donato a suo ricordo.

Uscì in strada ad un’ora di notte, quando un suono di cicale stanche, sul viale non lontano ancora si udiva per l’aria, come a invocare, invano, il consolo di una luce. Percorse a piedi, il maestro, i pochi metri lungo il corso da casa sua al palazzo e quando vi giunse un lungo applauso l’avvolse, da parte dei presenti, prima di sedere al pianoforte.

Concluse il primo brano, Bajardi.                        Ascolto' per un poco il mesto rintocco d' un orologio, dalla chiesa accanto. Riprese e suonò ancora: le musiche dei grandi, dapprima; e poi a seguire anche le sue; sempre, le une e le altre, a snudarsi nel loro raggio di cristallo, colmato da echi di brezze, di ombre felici cercate, in cui egli chiedeva rifugio.  

E gli parve, nella sera, come a veder passare, in specchio movente, innanzi a sé e agli altri, la sua vita: quel legarsi alla musica come unica essenza d' amore, e con essa, le mute, inesauste ragioni per cui aveva scelto, un giorno, di partirsene...

Il riverbero d’un ultimo accordo si spense tra le mani del maestro ed egli, alla fine, fece come per alzarsi e ringraziare; ma solo in quel momento si accorse che quasi nessuno tra i presenti  era rimasto ad ascoltarlo. Se ne erano andati, via via, uno per volta, nella stanza vicina a distrarsi e conversare, lasciando quelle sedie vuote accanto, come alberi spogli di un autunno silenzioso.
Si terse il sudore Bajardi con un fazzoletto di damasco che aveva tratto dal taschino. Richiuse, in gesto lento il coperchio del suo piano e sorrise a qualcuno prima di uscire; ascoltando poi i suoi passi nella notte, nell’inverso tragitto fino a casa.