lunedì 13 aprile 2015

Il Primo Maggio a Isnello: Suoni e Sacralità tra i riti della Festa

Scrutiamo il cielo, quel giorno. All’alzarsi del mattino. Così che non  giunga il grigiore delle nubi, di là di Sàvoca e Montaspro a negarci la trepida attesa  della festa.
Soltanto nuvole leggere vorremmo, sopra  i nostri tetti; bianche come il gregge di Cola che si specchia al bevaio, a rincorrersi tra indaco e azzurro, fino a quella linea che spiana verso il mare.
Primavera dev’essere. Avvinta alle gemme risorte dei giardini, allo stridio gaudioso delle rondini, tornate a infrangere il silenzio delle torri, sbrecciando gli spazi tra gli archi e le campane, dentro al loro cuore palpitante, tra le piume.
È tempo di vestirsi, schiudere gli usci, lasciarsi sferzare dall’ aria di cristallo che avrà vegliato nella notte innanzi alla finestra.
Lassù, poco oltre il nostro sguardo, il profilo ineguale delle case sembra essere un dipinto senza tempo, percorso da un velo perenne di luce, esteso alle campagne e ai sentieri nascosti tra gli orti.

Quei sentieri, scenari delle nostre scorribande di fanciulli, delle nostre grida di imberbi guerrieri, a sguainare dai fianchi spade di cartone, legate alla cinta con lo spago; e del nostro riposo, poi, all’ombra dei carrubi, appena turbati da un vago assillo d’amore, giunto fin lì a scuoterci le membra…
Chissà quant’altro è quel giorno, per noi. È un racconto che ritorna. È la rossa bandiera di Masi che giace nel baule; lacera, memore di lotte inesauste, gloriose, per quel morso di terra strappata ai padroni, espugnata con l’armi delle proprie mani  nude.
Il Primo Maggio è un risveglio, una poesia che ci sprigiona in cuore. E le ragazze appaiono già donne, dentro le vesti nuove, d’organza vermiglia, carezzate  dal sole, dagli sguardi, da mille parole bramanti, lungo il tragitto che scende alla piazza.
Le loro madri le osservano, mute, dalle fessure dietro alle persiane, con occhi di miele, con l’animo d’ansia e di orgoglio, prima di uscirsene anch’esse verso quel luogo che sanno: verso quell’aspro colle d’astragali e pietre, odorante di rosa marina, là in alto al paese; verso quel Cristo lucente  tra le spere, avvolto ancora nell’ora del mattino, nel suo amato rifugio di incenso e silenzi… 
Ognuno risale dal proprio sestiere; da Santa Katrìna, dalla Nunziata, da altri più lontani, per quell’ erta severa poggiata sulla roccia, tra i vicoli ombrosi, di sotto alle ortensie fiorite dai balconi. È un ansare di fiati , di saluti festosi, di parole gracili, nude, ora gaie, ora sommesse, sgorgate in petto a ciascuno, fino al pianoro antistante la chiesa, adagiata su sé, dormiente quasi sopra i calcari, sfiorata appena dall’alito del vento.


Ci appaiono lievi le ultime scale innanzi al portale pittato in celeste. L’entrarvi poi è un fremito sottile, una meta di quiete, l’istante cercato ad ogni Maggio.
Egli prende a guardarci, allora. Dal suo altare bardato di gloria, di argenti. Tra l’ebbro effluvio dei gigli e i drappi sfavillanti di damasco; diméntico di ogni proprio dolore o solitudine. Scarno. Innocente nel suo corpo di quasi fanciullo, nutrito da una larma di preghiera giuntagli dai campi, dagli armenti, da un lembo di terra remota…
Sarà il suo giorno, questo. Lo invocheranno, lo canteranno, gli lanceranno grida di fede, nella calda letizia del tramonto, mentr’Egli, sulla croce, ondeggiando fra la gente, in quell’ora scenderà per le contrade, sormontando con l’ombra del suo volto i confini delle valli e delle alture.
Percorrerà così le vie maestre, sorretto da uomini scalzi, vestiti di bianco, a guisa di prodi ed inermi crociati; ad offrirgli ciascuno lo stremo delle braccia, l’imperlarsi del proprio sacrificio. E l’inversa strada del ritorno sarà come d’antiche battaglie, compiute in suo nome.
 Si alzeranno i suoni della sera, infine. Allo spegnersi  flebile dei ceri, come lucciole perse dentro l’infinito. Il cielo ergerà le sue tele di cobalto, sopra i luoghi e le cose.
Anch’Egli, il nostro Cristo, avrà calma la sua notte. Senza flutti di sangue, stavolta, o calvari da patire, di contro all’amaro ludibrio della storia. Un sonno di lode gli giungerà alle membra, insieme alla brezza della Madonìa. Puro come l’acqua.
Nell’ora silente, in grembo agli stellati.
                                                                                a.s.






                                            " Al Signor che sulla Croce"
                                               da  "Canto di Maggio"












                                                         " Crucifixus"
                                                          
                                                          da "Canto di Maggio"