mercoledì 24 aprile 2024

Ballata per Jaccòn

Ho scritto, in questo XXV Aprile, per non dimenticare,  questo brano per Giovanni Ortoleva, nome di Battaglia Jaccòn, trucidato con 19 compagni a Salussola, in Piemonte, il 9 marzo 1945.

BALLATA PER JACCON
partigiano ed eroe di Isnello
1921- 1945 


Tu, Jaccòn, che di nome hai Giovanni

mentre cadi nel grembo degli anni.

La’ a coprirti nessuna bandiera

in quel giorno di mai primavera.



E a quel muro pervaso dal sangue

un respiro è in te, a terra, che langue.

Non speranze più, in fiaccole accese
 
di tua madre o di feste, al paese.



Eppoi quando per patria partivi

tra un saluto e un abbraccio d’ ulivi 

e tu ignaro, al pensiero che assale,
 
là,  a combattere gli anni del male. 

...
Quegli  amori,  a cascine e finestre

là fugaci, in tepori  e minestre. 

Tenerezze, a  uno sguardo di amico

che ti addita in segreto il nemico. 
...



Tu, Jaccòn, sotto ai sonni del cielo 
  
 mentre sfidi gli orrori tra il gelo.

 Le canzoni tra gli alberi muti 

 in sussurro ai compagni caduti.


 
E tua morte, a uno scarno cortile 

in fierezza trovare il suo Aprile. 

Liberta’, a un blandire di spada

nel suo dono di pura rugiada. 



Tu ora vivi, in giaciglio di rose.

Fra due pietre in bianchezza di spose.

Col tuo nome, nel sole o all’ inverno
 
Da battaglie, là, ergersi eterno.   



(a.s. 25 aprile 2024)



lunedì 5 febbraio 2024

I giovani nella musica, tra le ombre e i sogni.



Sentiamo approdare, innanzi ai nostri ragazzi di domani, un certo moto o leitmotiv di sofferenza.

Sentiamo, a volte, a lezione, una sorta di morso lieve, costante, che affligge ed inquieta, nel non poter dare un pò più di sereno, al loro avvenire.

Sentiamo mutare, ad ogni mattino, il senso o la sembianza di una meta: una linea di orizzonte che scorge la musica, il suo cuore,  come fosse una essenza distaccata. Che prende  sentieri tortuosi invece della via maestra.

Quale e’ la linea di noi insegnanti, da perseguire, in ombra ad un Adagio? Conviene partire daccapo oppure cambiar brano? Ricercare nella stanza, con gli allievi cari, un po' di suono, un po' di sole che riposa sulla dominante, o passare oltre, in virtu’ d’ un apprendistato più globale? Se, poi, domani - ciascuno di essi penserà -  devo mettermi su un treno, fare la sardina su un aereo irlandese, a fare esami concorsuali, con un programma qua, o un altro, opposto, là, a smarrire il bisogno, invece, di una luce che più accarezzi il senso di cio’ che la musica acclama, vuole, pretende. Verso un incanto che appaia più compiuto. 

Questo e’ il dilemma. Se l’ Arte, quella con la lettera giusta, vuole la virtu’ che sta nel mezzo, il distacco dall' essenziale, i giorni di lavoro devastati da plurime materie e le ore a brandelli, oppure attendere un po’ di bellezza che giunga sull’ uscio, che bussi alla porta, che sveli il germe stesso di ciò che, nel tempo, abbiamo cercato. 

A cosa, di contro, si pensa? A una frase, ad esempio,  da uno studente,  ascoltata appena ieri.

“...Maestro, ho sempre sognato a un bel Concorso serio, dopo la laurea, dopo le metodologie, che fanno girare i cabbasìsi. Studiare, suonare si deve, tutto il giorno. Però, sa, sogno anche di insegnare.  Le chiedo, forse bisognerebbe riscriversi ancora, fare punti, altri corsi, mettersi al sicuro. Maestro, leggo le storie dei pianisti…Trifonov coi piatti del pranzo sopra al piano. La Grimaud alla notte, con il suo Steinway, per meritarsi due ore al mattino, coi suoi lupi…. Quanto vorrei di questa sacra dedizione! Provarla almeno!"

Ascoltando quel ragazzo, al tacere dei suoni, di quel la bemolle là spento, poco a poco,   non ho trovato parole volte a incoraggiare, o a illudere, in lui, l’ aria dei suoi pensieri fervidi, protesi al divenire. Non c'è tanto da sognare,  in questo paese che dilania i percorsi, le effigie stesse guardanti la sfera e le cose della musica.  Quell' alta formazione, soprattutto,  di cui stentiamo a riconoscerne, oggi, tratti o sembianze che siano luminose.  L' ho salutato, poi, a non voler scoprire la piaga d' un discorso, negli attimi seguiti al suo riporre gli spartiti nella sacca. Con quel Liszt del Widmung, intanto, che sembrava non voler andarsene dalle pareti, da quella finestra; prima di cercarsi una brezza, verso quel mare di fronte alla strada.    

È qui il punto. Di la’ da certe riflessioni un pò percorse da amarezza, la Musica, con la sua  sofferta identita’ formativa,  anche se  percorsa dal dolo o dall’ indifferenza,  finisce nel permanere ugualmente, in noi. O in chiunque, che, per studio e per bisogno, ad essa si accosti. Come una roccia incurante del maestrale. Racchiusa tra lo stesso bisogno di amarla. Tra il grembo della sua verita’ d’ essere. Che, solo per questo, merita e invoca un segno di tre sillabe soltanto tra gli uomini o i luoghi chiamati a sostenerla: il rispetto. 

 


  






  

























  

 

 


martedì 16 gennaio 2024

La casa di Biagio


LA CASA DI BIAGIO

I pellegrini di Palermo vanno, in lento sguardo di pensieri, di silenzi, verso Biagio;
un cammino quieto, accorato, tra i filari dei cipressi, fino alla sua casa.
Anche Gaspare è lì, in fila. La sua baracca a ruote è rimasta chiusa, nel garage: niente tepore di sfincioni, da vendere per oggi.
Parla, egli, tra il silenzio del viale, con un filo dolce alla mente, pensando a Biagio: a quelle guantiere calde, uscite dai pulmini, a quegli odori fumanti per Jaìl, Muusuh, all' alba, con le loro facce di ebano e di stenti; un pezzo di cartone per giaciglio, nel vecchio portico accanto ai binari. Sono molti, i viandanti, come parte di un assorto fiume, con un segno o un arabesco d' amore, ciascuno, serbato alle labbra. Hanno passi  in misura di adagi dolenti, ma sereni, dove il degrado, accanto, tra le magre rive dell' Oreto sembra non mostrare il suo senso di bellezza ferita, di luogo dimentico, avvezzo all' abbandono. 
Si va, insieme. Non fumano, i bracieri di stigliole, lá vicino, appese al ferro filato.
Anche Ignazino, ha chiuso la sua bottega sopra al marciapiede, per un giorno, ed è li', in cadenza uguale con gli altri, in lentezza, sotto quel celeste e terso cielo del mattino. 
" Passava sempre, fratello Biagio - racconta 'Gnazino -  E gli dicevo a lui se voleva una stecca cu i stigghiuola. Mi rispondeva di no, con i suoi occhi azzurri, bellissimi, persi tra risa gioiose, invitando  poi Ahmud, Ngibeh, e gli altri compagni ad assaggiarle.
Bisognava vederlo, Biagio, a guardare quei picciotti, con quelle mani nere, tese nell aria, contenti di quel mangiare in mezzo alla strada… "

Ci sono tanti pellegrini, intanto, sul piazzale da cui si erge la chiesa. Hanno il tempo di scorgere altri fratelli e compagni di Biagio là in schiera, come immagini di film che raccontano il dolore; alcuni di essi, seduti su grandi latte di vernice. Altri due in disparte, hanno al collo fazzoletti rosanero. 
"...  'U Napuli avi a Maradona…"  - parla il piu' giovane, Ninuzzo, a voce roca -  "...E nuatri avèmu a fratel Biagio..."
Si intenerisce, una signora accanto, al guardarlo, al sentirne quel suo moto d' orgoglio, quel guizzo fiero; di contro a una sua solitudine  come scolpita, provata sulla pelle, chissà da quali storie amare.
Il pensiero, in quel momento corre alla città, trent' anni dopo i balconi con le foto di Giovanni e di Paolo, campioni, e guerrieri anch'essi, in mente e in nome alla giustizia. E sembra il ritorno a un acclamare, sommesso ma vivo a un luogo che spera, che si avvinghia a questi santi in seno agli ideali, che ne custodisce i ritratti alle pareti o dentro al portafogli. 
E ora Biagio, qui. 
Icona dolce e forte della carità umana, del sostegno e del canto agli ultimi, da questa o d' altra latitudine, approdati a Palermo, per deserti o per mari. Biagio che va a piedi di gesti, di parole; che si nutre della polvere stessa dei sentieri, che digiuna, per amore a noi, al suo Cristo; che invoca, si dispera sulle bàsole nude, per un solo amico perduto…
Entrano i pellegrini, a trovarlo, a salutarlo, mentre egli dorme disteso nella pace. 

Ognuno si ferma, innanzi alla parabola d' oro di lui, racchiusa tra il dono dolce d' un pugno di istanti. E, a osservarlo, ora,  in quel battito di letizia, di dolore grande, sembra come un Gesuzzo scolpito in croce, scrutato, amato dalla gente, in un paese non lontano di balze e ginestre, dentro le grate di incenso e silenzi.  
Il suo incarnato di uomo d' oriente, il gesto strenuo, che giace nell' uscio socchiuso del morire, del risorgere. Tra l' uguale bocca che soffre e che svela, al contempo, i tratti, l'effigie, l'attesa brezza del sorriso. Tra la stessa sembianza, o speranza, di scorgerlo in specchio e in ritorno ai volti di quelli che amiamo. Quelli che sono accanto e vivono  oltre noi e che in ogni tempo, fosse a una spiaggia, a un cortile,  a un orto dietro alle case, di certo, o in desìo, 
incontreremo.

a.s. gennaio 2023 

In bonu pani...



Dintra a stu nvernu,  spersu di culuri
a terra sta a cuvari 'nu só sciuri.

E cca’,  in silenzi, crisci gia’ spiranza
du to' paìsi, 'n cori, a ttia, in sustanza.

Li sònnira d' un toccu di campana
d' un sciumi in sonu, ca pill' aria acchiana.

L'amuri, c' arrisèdi ntra a to' menti:
'n bonu pani,  spartutu cu la ggenti...

U tempu, in volu, movi dda’ u so cursu
comu acqua, in pàrmu di na manu, in sursu.

E tra u destinu, ‘n grembu a gh’ jorni e sìri.
va’ un cocciu di pinzèru, in mai murìri.


a.s. gennaio ' 24