giovedì 27 dicembre 2012

Buon Natale e Buon Anno dalle Voci Bianche del Conservatorio di Palermo.

Minuit Chretiéns di Adolphe Adam, con Gloria Grisanti, soprano.

 
Palermo, 20 Dicembre 2012,
Chiesa di San Mamiliano.
 
 
 
 
Ho scelto questo brano per voi, amici del blog.
E' una registrazione live dal nostro concerto di giovedì scorso. Ad interpretare il brano di Adam insieme alle Voci Bianche, il giovanissimo soprano di Isnello Gloria Grisanti, 20 anni,  al suo debutto; con Nino Fiorino, di Isnello, al pianoforte, oltre a me, che sono pure di Isnello. Divertente, no? 
Ecco, avvertiamo tutti quanti la felicità di portare in dono al Bambino di Betlem la nostra musica: sentirci quasi immersi dentro al presepe e cantare, cantare, ora dolce, ora forte; e andare, andare in un unico  respiro  verso la  Festa tra le feste,  verso quell'  Ou  l' homme Dieu descendit jusq' a'nous...
Perchè quando c'è la musica,  è sempre Natale.
 








Presepe del Bongiovanni Vaccaro, Caltagirone









Isnello, La "Luminaria" di Natale








 

sabato 22 dicembre 2012

Il Mistero, tra Poesia e Musica, presentazione

 

Serata dedicata al  libro di Tony Caronna ed Enza Maria D'Angelo, ( prefazione di Antonio Sottile)
nella Chiesa della Catena a Palermo, con la partecipazione delle Voci Bianche del Conservatorio



Palermo, 21 Dicembre 2012

 
Ho il piacere di pubblicare tra queste pagine web la mia prefazione al  libro, appena edito dalla casa editrice Il Campano. Il ricavato dalla vendita andrà in favore del Progetto Gemma, servizio per l'adozione pre - nascita  a distanza di madri in difficoltà.
 
 
 
 
 
 
Ora pro nobbi santa dei  genetri…

 Oremus grazia mintùa … questum nostr infunti…”

 

Si era fatta l’ora. Gli  spaghetti  fumavano già sulla tavola, mischiati ed immersi  nelle scodelle di terracotta   smaltate di  celeste,  con al centro la cannata del vino schiumante ancora di botte. Un  tripudio, una gazzarra trepida di  odori e di colori, con la gola ad inghiottire a vuoto  la bramata delizia di spada, menta e melanzane.

Non c’ era storia. Non c’era modo d’affondare la forchetta anzitempo sulla gloria del cibo. Prima veniva la preghiera.

Così, mia madre  stracambiava la voce  ad un tratto, facendosi seria ed  iniziava l’Angelus.

Non ho mai dimenticato quei  momenti,  quell’irrompere  consueto della fede sulle  nostre labbra, sulle nostre normali vicende del vivere;   tra l’acclamato  dono,   ogni volta, d’attenderne una qualche luce o  consòlo,    a riconoscerne un segno di  verità semplice e, per questo, infinita.

Scorrendo le bozze del lavoro di Tony ed  Enza  Maria Caronna,  così attento, vivo, appassionato,  rincontrando tra le pagine  le parlate e  i fonemi  assai  cari  del dialetto siciliano, mi è sembrato come  entrare una volta di più dentro l’ atmosfera e  la primordiale tenerezza  scaturita  da  mille stuoli di suoni e di versi  danzanti, così vivi, così familiari; nella loro magia di ritmi celati tra le sillabe,  nella fragrante, disarmata  innocenza  della loro ispirazione.

Già, l’ispirazione.  A volte, in certe sere d’inverno,  quando m’accade   di tornarmene tra i  luoghi dove sono nato,  tra  quella stessa aria che amo e conosco,  non è raro che a casa m’imbatta in un qualche volume di poemetti,  in qualche libricino  di liriche strapaesane, sonetti  di terre e di mari, o canti di cose di Dio.  Di là da ogni  esegetico impulso  o misurata analisi riguardo al loro contenuto letterario, ciò che mi intriga spesso è il voler come giocare  o candidamente frugare tra l’anima di questi  amabili  poeti  nostrani , di questi  emuli  Petrarca  da  Mussomeli,  Molière da Pietraperzia, Holderling da Bisacquino…     

Eppure,  come sarebbe fascinoso conoscere le ragioni,   il germe, la scintilla  che  prelude ai loro gesti creativi, ovvero la necessità di esprimersi nel bagliore di  una rima ritrovata,   di un settenario riuscito a far quadrare,  di un disegno, alla fine, gioiosamente compiuto.  E quanto tempo, pensiamo,  sottratto ai loro mestieri,  alle olive, alle vigne, alle capre, al loro stesso pane, pur di assecondare, essi,  quel richiamo da dentro,  quella  spiaggia di sirene, quella scheggia di fuoco nutrita in fondo al cuore. Fin qui dei poeti ho scritto, fugacemente,  nelle poche  righe qui sopra.  Mi rimane ora di farlo sui musicisti o ancor meglio, sui musicanti:  l’altra parte,  l’altro emblema di questa affettuosa compagnia o cerchia d’arte,  con il proprio percorso concepito per animare gli spiriti  sinceri, i sentimenti del popolo, la vera gente, al  fine di scaldarne l’amara e grama esistenza  e porla in dialogo a un pensiero  tanto dolce, pietoso, carezzevole, quanto infinito. Il pensiero di Dio.

Ci colpisce, in questo fascinoso viaggio verso le mete della nostra letteratura popolare e religiosa, il rimanere presi  da personaggi  e figure  rare, lontane, sconosciute;  e se ci risulta facile poter individuare in talune opere  l’ impronta, il segno dei  versi magistrali   di Annulero, di  Di Liberto o di altri ancora, è pur vero che riguardo agli autori  delle musiche, il più delle volte, invece,  ci risulta sapere assai poco o  nulla.  Così che,   davanti  all’incanto sonoro di un  Alligrizza piccaturi , di un Viaggiu d’i tri Re, o del Canzuneri di Maria  abbiamo quasi a sentire come  smarrirsi  l’occorrenza d’un nostro tributo di lode,  di un feel   di gratitudine, di un bisognoso slancio  verso l’entità di un  volto o  di un  nome.

Noi, che nella vita e per mestiere, abbiamo studiato la musica dei grandi, Mozart, Verdi o Brahms,  che giorno  dopo giorno percepiamo sempre più alto il distacco tra la nostra pochezza e il loro genio  e ne sentiamo ogni  volta più lontano il confine,  che sembriamo navigare alla deriva  tra le  vincenti maree delle loro creazioni,  che misura o valore  allora potremmo attribuire, invece,  al lavoro  di questi altri  primigeni artisti della nostra terra,   e che premio  generoso poter dispensare ugualmente ai loro esili, piccoli ricami di suoni  e di parole?
 Nessun valore, nessun premio  – risponderemmo decisi,  se non credessimo altrimenti   alla verità  che  nell’arte ci sia davvero posto per tanti,  per  le minime o le grandi cose,  per i  supremi voli  o   gli incerti cammini, purché segnati  e percorsi dalla generosità del cuore,  da un durevole, ricolmo abbandono...

Se la ragione di questo  breve scrivere non mi fosse sacrosanta, proverei io stesso a negarmi la  naca d’ù Bamminu, nella sera  di Natale, al mio paese, o la cantata d’i pastura nella piazza, con la brace di salsiccia accanto alla neve, e il bacio degli amici pecorai  odorante di cannella e vino cotto;  e  l’aria calda, fumante che esce dall’ancia dei clarini, dal fiato dei corni, in eco all’ansare dei  cantori.  No. Non ci sarebbe posto  per la Weichnacht –Kantat di Bach,  quella notte, con tanto di  recitativi e fluttuanti arpeggi dei cembali.  Mi basterebbe leggere la nascita di Dio tra gli sguardi dei vecchi,  tra  il bilico dei loro sofferti  accenni di danza  e le lunghe sciarpe  a sfiorare  le bàsole  imbiancate, tra le grida dei ragazzi attentanti  il  fluire del suono,  così pregno d’armonie quiete,  di parole dolci, più d’un miele di carrubo.
 
Il canto della Novena di Natale in Sicilia, ( Alimena)
 
Accostandomi ora  a riaprire il volume e a riassaporare l’ottimo lavoro letterario di Tony e Enza Maria, tra l’altro impareggiabili genitori di Micol ,  mia allieva del coro in Conservatorio, vorrei poter contribuire con una piccola sorpresa ad aggiungere un foglio, un foglio soltanto  all’esauriente  stesura  del loro libro.  E’ una chicca  autentica,  una poesia – cantata  del Natale, scritta da Mastro Pasquale Pagano, scarparo di Caltagirone, all’incirca nel 1760 che ho ritrovato  tra i manoscritti  della Biblioteca Comunale e che ho voluto rendere  in musica , con la  minuta aggiunta di   poche modifiche. E’ un cammeo di delicato charme dialettale, d’ adamantina purezza inventiva , che mi ora piace tradurre tra queste pagine.

 

                                                                 CANZUNERI DI NATALI

composto da Mastro Pasquale Pagano, scarparo di Caltagirone, 1760, circa

 

Càdinu a scrusciu l’acqui
saziannu la campagna

la nivi a la muntagna
si va pusannu già.

 

Ntra stu friddusu tempu
di ‘nvernu rigurusu
 
Maria cu lu so spusu

in  Bettilemmi  và.

 

Incinta si truvava
di n’ommu ch’ era Diu

quannu a Judìa iuncìu
circàu na casa ddà.

 

Cunfusu era Giuseppi
nu avennu chiù chi fari
 
cerca Maria purtari

fora di la città.

Na grutticedda trova
(lu  tempu  ja strincennu)
 
trasi Maria vidennu

dda granni povertà.

 

Senza duluri e frenu
isannu a Diu la vuci

duna  Maria  alla luci
dda gran Divinità.

 

E pri maggiuri  preggiu
essennu matri fatta

ristau pi sempri  ‘ntatta

la sò virginità.

 

La mìsira gruttuzza
diventa un paradisu

e n’ancilu l’avvisu
duna all’umanità.

 

Virdicanu li campi
la serra fa li sciuri

natu è lu Redenturi
ognunu  a festa fà.

 

Godi la matri intantu
vasa lu sò dilettu

lu strinci a lu so pettu
e ad adurarlu stà.

 

Na stidda  all’urienti
si vitti ‘ntra li spiaggi

e prestu li tri Maggi
si partinu di ddà.

 

E li pastura infini
 a lu Messia cantannu

turnarunu gluriannu
la granni so bontà !

 

Grazie, mastro Pasquale, di questa cantata,  di tutte le tue notti persi ad assicutare rime ‘nfruntati con i sillabi.  Il tuo travagliu non è stato ammàtula.
Anche se non te la fidavi  a impastare figurine per il presebbio della tua  putìa, te la sei fidato ‘nvece a impastare palori, a metterci pinseri, fede,  sentimentu.
Certu, duecetusessant’anni  sono un poc’ assai,  prima di vedìri la tò poesia cumparìri  in un libro. Ma l’arti metti giustizia, ogni tantu. 
Se lo puoi fari, sduviglia a tua moglière, e facci  vedere il tuo nome appiccicato nella paggina.  Eppoi, dille che sbagliò,  tante volte,  a non capìri abbastanza la tua valentizza d’omu e di scrittori.
Come  quella  matina che idda venni alla putia con la cannata   riempiuta d’acqua frisca e te la gettàu nella tò faccia, gridanno:  –“ Pasquà! O Pasquali di  sti càbbasi…..!   Vedi che sti cosi chi scrivi  nun si mànciano !  - “
E ti strazzaù  la  carta del pani dove c’erano scritti le poesie.   E lo seppero tutti,  i parenti, l’amici, il vicinato che  tu la volevi  scannare con la lèsina.  Fino a quanno  vennero  la guardia ‘nzemmola al pàrroco. E, alla fini, voi faceste paci.

                                                                                           Un saluto, sempri amico
       

                                                                                                             Antonio Sottile, Novembre 2012

 
Caltagirone, presepe ( part), Chiesa Madre
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

domenica 9 dicembre 2012

Dicembre


Ecco per voi questa mia poesia. Penso che possa andar bene, in un  giorno così.

Buona lettura.
 
 
 
 
 
 
 
Non ci sarà sole
 
al tempo nuovo
 
per  la mia canzone.
 

Nè poesia di inverni.


Ancora m'attempo alla tua porta.
 
 
E la neve discioglie  il suo cuore                                      
 
in silenzio.
 
Dove è la tua luce.
 
 
 
 
 
 
 





 
 
 

sabato 8 dicembre 2012

Un Duo di classica leggerezza

 




Alessandra Fenech e Valentina Inzerillo, violino e pianoforte, in concerto per il Salotto Musicale della Nuova Agimus.

 

Palermo,  Auditorium di Santa Cita, 29 Novembre 2012.

Da quando il Conservatorio rimane aperto fino a tardi, mi piace poter  fermarmi per le lezioni, un paio di volte a settimana, nelle ore serali.
A distanza di quarant'anni, dai tempi in cui da ragazzino vi andavo con i compagni di pianoforte per le prove ansiose dei saggi, il poter riprendere ora questo rapporto "notturno" con la mia scuola mi è sembrato una sorta di dono, di privilegio inatteso: così come tornare a scoprire, per le stanze, lo stesso odore vissuto e polveroso del legno degli Steinway, o ugualmente tra le pause di uno ètude, di un adagio, riascoltarmi il  fischio non lontano delle navi in rada e il loro dipartirsi tra le luci del porto,  splendido e con vista, dall'aula 44.
L'altra sera, la prima di  vera pioggia  in città,  pluie que lente che chiudeva il suo idillio con la calda magia dell'autunno, mi aveva riservato tuttavia una novità ulteriore: quella di uscirmene, per ultimo, dal Conservatorio e, al posto di compiere il tragitto verso casa, recarmi invece  a piedi nella chiesa di Santa Cita, poco distante, per il concerto di Valentina Inzerillo e Alessandra Fenech. In programma due Sonate di Beethoven e Brahms.
Il luogo del concerto, anch'esso, mi era nuovo: una piccola cripta sovrastata da arcate e da volte basse e severe, da poco rimbiancate,  proprio sotto al celebre oratorio del Serpotta.
Non ascoltavo Valentina, già  mia allieva di pianoforte, in pubblico da anni. L'abbrivio della prima Sonata beethoveniana, l'op. 12, mi è parso subito come il dipanarsi di un eloquio semplice, intimo, familiare, in accordanza con il disegno del violino che sembrava richiamare il sapore e l'atmosfera dei salotti musicali d'un tempo.
Suonavano bene entrambe. Si capiva del loro studio, della loro necessità di perseguire il senso di una linea chiara, di un'attenta idea di coerenza nel nome di una classicità dalla bellezza essenziale. Perchè la ricerca di classicità, lo sappiamo,  finisce per premiare sempre: come i tratti d’ una donna che noi ammiriamo per strada: sobria, d'una eleganza quasi priva di orpelli, e da ogni movenza accorgerci d'un suo fascino lieve, misurato, che sembra dar luce a ciò che le sta intorno.
Nell'intervallo sono andato a trovarle, Valentina e Alessandra, in un ampio stanzone della stessa cripta, riadattato a camerino. Osservavo i volti e i corpi accaldati d'entrambe segnati dalla giovinezza, dentro i loro lunghi bustier neri e leggeri, a carezzare il pavimento.
Ho amato molto, in quell'attimo, i loro sguardi: gli stessi di quelli di chi ama la musica, di quelli che hanno questo pensiero dentro sé, da seguire, da custodire. Gli stessi di quelli che hanno scelto l'arte come prima cosa, e scorgono il piegarsi, ogni volta, della propria mente agli uguali  bisogni di essa, come una creatura sopraggiunta con malia infinita  tra le rive del proprio  esistere e  da ciò mai più ripartirsene.
La seconda parte prevedeva  Brahms: la meravigliosa Sonata op. 78, costruita sul nostalgico tema del Regenlied, tratto dalla collana  degli  Acht lieder und Gesange. 
La ripartenza del duo è apparsa subito come un’ideale continuazione del percorso beethoveniano, tra le morbide danze dell’archetto qui in perenne dialogo con il ricamo pianistico, secondo l’opzione di uno stile esecutivo asciutto  e poco indulgente alle divagazioni romantiche.
Un bel concerto.
Ce ne siamo usciti, noi del pubblico,  contenti, pieni di quei suoni. Il tempo di un saluto al maestro di Alessandra, Antonello Mameli lì insieme alla sua bella moglie. E poi via per strada, in cuore alla notte piovosa, con la luce dei lampioni a specchiarsi nelle pozzanghere, e  l’ animoso film della gente, dietro  ai parabrezza.
Regenlied, dal tedesco, vuol dire Canto della pioggia.
Una coincidenza felice. Quasi che l’inverso tema del tempo lento sembrasse ora seguirmi lungo  il ritorno, e farmi ancora compagnia nella testa, tra le case basse del quartiere;  prima di disperdersi, sereno,  per l’aria di novembre.
 
 

 
 
Alessandra Fenech e Valentina Inzerillo all'Accademia Chigiana di Siena










Alessandra e Valentina, alla Chigiana, Estate 2012





 

lunedì 15 ottobre 2012

Non so dirti addio.. ...

Una poesia che viene d'autunno. Un bisogno di pensiero, dentro queste poche righe.
Wilhelm Backaus diceva che " il pudore di  un artista sta anche nell' adempiere al dovere  di render nuda e mostrare la propria anima  anzichè custodirne soltanto, di essa,  intimamente i segreti..." 
Ed ecco qui: un pugno di brevi parole. I soliti versi, forse. Per un'unica, sola canzone...
 










Non so dirti addio.


Tu

che sei manna per i miei deserti

giaciglio del mio peregrinare

sussurro che mi sorge nelle mani.



Mi attendo la tua sillaba

ancora

che viene a rendermi felice

in questa sera che avvolge  i tuoi  tratti

e li rende infiniti.



Dammi

dammi la primavera che io voglio...

il sangue adamantino

sgorgare copioso dalla tua bellezza.


Non so dirti addio.

Rimani.


E solo poi

la notte

struggente nemica

arrivi a reclamarti

e a prenderti per sè.


Come stella..  ...



                                                                                                      






 
                                                                                                          

martedì 25 settembre 2012

Il XXII anno con le Voci Bianche del Conservatorio. Primo concerto alle ex Scuderie Reali.

Il prossimo 19 Ottobre le Audizioni per l'Anno Accademico
2012 / 2013.
Le Voci Bianche anche quest'anno impegnate in un importante percorso artistico e formativo, con la partecipazione a concerti e  a festivals nazionali e internazionali.
Ecco il bando di partecipazione.

Palermo, 25 settembre

Le Voci Bianche hanno ripreso  l'attività  di quest'anno con il concerto alle ex Scuderie Reali del Parco della Favorita a chiudere le manifestazioni estive del Comune di Palermo. Un concerto che ha avuto i suoi risvolti  un po' romantici, con la prima pioggia d'autunno a cadere calda e leggera sopra il canto dei ragazzi. Non so come dirlo ma mi sono sembrati  quasi perfetti; impassibili nel loro aplomb innocente a sfidare l'acustica ingenerosa del singing all'aperto: singing in the rain, per l'appunto. Gioiosi, seri e felici innanzitutto di  essersi ritrovati, dopo la pausa dell'estate; e ancora più nel tornare ad appropriarsi di quel  senso di appartenenza comune, nel nome della musica e del  Conservatorio della loro città. 
Non volevano più andarsene, o ritrarsi dal cantare, innanzi  all'inatteso coupe de thèatre  del tempo: con i nuvoloni incombenti sui loro vocalizzi e sulle  rocce del Monte Pellegrino, splendide, tra i colori delle Opuntie/ficus  come  i palchi lussuosi  del Politeama...
Un programma un po' più breve, ad evitare un possibile nefasto sfogo dei nembi. 
E una immagine tenera fra tutte: quella di Mauro il trasportatore del pianoforte, lì ai lati del coro con una grossa manta di tela, in accesa tenzone con il temporale imminente; pronto a lanciarla sullo strumento se ce ne fosse stato bisogno. Un torero, Mauro,  con la manta, volteggiante tra sé, tra le note del Và pensiero.
Questo non ce lo saremmo mai aspettato!










domenica 9 settembre 2012

Chopin, Mazurka per pianoforte in la min. op. 67 n. 4

Enjoy the rest of the summer...

(with an essential Marco Fazio's video share)








Pubblico per la prima volta tra queste pagine una mia esecuzione pianistica: la mazurka op. 67 n.4 di Chopin  già edita dalla Nuova Era di Torino.
Insieme  a Marco Fazio, giovane musicista del nostro Conservatorio, abbiamo preparato un piccolo video essenziale, da accompagnare al brano.
Buon ascolto.



lunedì 20 agosto 2012

Ave, o dolce Regina ...

Una magica sera d'estate, nella festività della Vergine Assunta, ad Isnello.


 13 Agosto 2012, dal tramonto alla sera per le vie e le chiese  di Isnello.




Provo a scrivere dalla mia casa in città.
Fuggirmene dal paese è stato una sorta di bisogno.  Ogni tanto accade, di voler essere lontani dai luoghi, dalle cose che si amano; come a sospendere in noi, per un poco,  il fluire d'un legame di sangue in altro modo inarrestabile.  E voler sentirne tuttavia, di questo scorrere,  il vuoto, la mancanza;  prima che ne si  acclami forte il  ritorno,  tra le vene dei pensieri e del cuore... 
Nel viaggio di ieri dalle Madonie verso il mare  pensavo alla parte dei flicorni  in Ave o dolce Regina: a quel  disegno in arpeggi un pò troppo tendente all'uguale, al monocorde,  che - avvertivo -  doveva esser riveduto, in due  o tre battute.
Le stesse curve del  tragitto in macchina, sul percorso glorioso della Targa Florio,  sembravano aiutarmi nell'indicare in qualche modo un più sinuoso e naturale cambiamento al passaggio musicale, risolto infine  con  semplicità inattesa appena giunto alle porte di Palermo. 
Un giorno di onde e di spiaggia, oggi, con Carmen raggiante di sé nel nuotare ormai  sull'acqua alta, là dove vanno solo i grandi.
E adesso appunto, riprovare a scrivere tra queste pagine, su  una  sera d'estate, al mio paese.
Potrebbe non essere facile procedere dentro le parole di un  racconto che lasci rivivere appieno il percorso  di questa  esperienza cosi bella, resa  possibile  per dono di Dio, innanzitutto;   resa vera dall'impegno e dalla passione di tanti, dalla dedizione di una comunità intera  verso  la propria stessa identità; resa tale dall'anima degli uomini che ci hanno preceduto.
L'idea di ripensare a una fiaccolata o a una processione  per l'Assunta in verità l'avevamo carezzata da tempo. Di un simile rito ne abbiamo avuto notizia a tutt'oggi dai vecchi di Isnello, peculiarmente saggi e custodi di memorie e di accadimenti anche assai lontani nel tempo; sempre puntuali  e candidamente lieti  di esaudirci  ogni nostro bisogno di sapere.
L'ultima processione  all' Assunta, prima di altre avvenute già secoli addietro,  si era fatta ad Isnello nel 1951, successiva alla proclamazione del dogma Munificentissimus Deus da parte di Pio XII.
Avevamo quest'anno, in definitiva, ogni elemento utile per rendere fattibile intorno alla solennità del  15 Agosto un evento che attingesse a piene mani alla religiosità popolare, che vedesse il coinvolgimento della gente in un bel gesto unitario e che tutto fosse posto nelle mani dei tanti fedeli, appassionati, visitatori, sopraggiunti fino a Isnello.
Così è stato.
E' bastato  poco per vivere di un momento di poesia felice, con  il celeste barlume del cielo che quietamente cedeva alla sera, con i piccoli lumi dei ceri - i coppi  - ornati da  forme e colori di carta velina,  che proiettavano la loro magia tra i  vicoli. A portarli, gli uomini e le donne con le insegne dell'Assunta, dentro le loro vesti blu e argento, appena mosse dalla brezza leggera che giungeva da occidente. Parevano un fiume lento, nel loro ridiscendere da quel bianco grembo di pietre  gravide ancora  di sole, tra gli ultimi avari  profumi di rìgano, di  spigo, fino a giù  verso le case  adagiate una ad una al proprio fianco, come un calmo gregge che riposa nella valle.  Un andare, un palpitare medesimo di volti, di altere gaiezze. E i fanciulli appresso, teneri, fra lo stridore delle nike  ai piedi  e le tonache addosso a imitare di angeli, con le loro  lanterne variopinte. E i preti, accanto, con le  stole  d'ori preziosi e le cotte, ricamate al filet.  E Alessandro, abitino al petto ed enorme megafono in spalla, puro, gioioso scudiero (o destriero, chissà,) votato al sacrificio...
Dietro ad essi,  la piccola vara con la statua lignea della Vergine, un gioiello carpito alla nicchia  dell' organo Andrònico in Santa Maria che dopo  secoli, ora, ripercorreva  l'aria e le vie dell'antica Menzìl,  lieta, pàga di questa insolita, e felice fuga  dalla sua dimora.
Giusto il tempo di una uscita breve, una sortita da Regina, appunto:  dolce,  Lei, osservando  quella  sincera, filiale  moltitudine  chinare lieve il capo al Suo passaggio...
Non si sa bene cosa fosse, il tutto. Se, come detto,  una processione o una fiaccolata o una Frottola ossia l'inno sacro da cantarsi per le strade. Di certo,  la  scelta di itinerari desueti,  fra  straduzze remote riconduceva  a inattese riscoperte di bagli, salite,  cortili,  come  immersi nel respiro del passato. Mancava quasi soltanto di rincontrare, di là dalla porta di una casa o di una stalla, il suono di voce d'un amico perduto o un sorriso infinito di madre, lassù a una finestra...
Sopra ogni cosa il  dire del Vangelo, a  frangere di verità  l'incanto del silenzio, là innanzi ai piazzali delle molte chiese. E  il cantare e il suonare del coro, della banda, ergersi in un unico fiato, in contraddanza alle luci  e alle ombre della ridiscesa notte; a consòlo d'un pensiero,  d'un bisogno mai raggiunto dalle sole parole.



           
                             " Ave, o dolce Regina ..." riprese amatoriali del Prof. Giuseppe Carollo





La locandina  dell'evento






I palii e  il paese, 






Discesa da S. Maria,  al crepuscolo






L'Assunta  in piazza






Sosta, nella Chiesa dell'Annunziata






"Ave o dolce Regina ..  ... "  nella notte
                            
                         

                                                                                                        foto  di Giuseppe Cultrara
                                                                                                                Rosario Cascio

mercoledì 11 luglio 2012

Papillon... (Un mattino di ottobre)




Petit hommage à Patrizia Pitrolo











                     

Sembrava come dipinta, l’ aria,  dentro a quel mattino di Ottobre, in quella striscia di strada tra il mare, il porto  e la città,  percorsa dalle ridda dei gabbiani, lì a decine a trafiggere l’azzurro, incerti, gli uni e gli altri,  se optare  per le linee delle grida o  quelle della danza.
Ci incamminammo dalla piazza del Conservatorio  per le strette vie del centro, percorrendo a passi che sapevano un po’ di vago e di ansioso gli esili spazi di luce guadagnati dal sole,  cadenzando e unendo il nostro andare con i disegni delle  bàsole ineguali  sul selciato, e le voci dei venditori mattutini.  
Osservavo lei,  ogni tanto, dinanzi al frastuono degli incroci,  sotto ad antiche case  che il nero dello smog rendeva così desolate e pure bellissime. Ammiravo la sua libertà di ragazza che le sembrava scritta tra le onde lievi dei capelli, dentro al suo  vestito di seta di colore blu ma soprattutto la sentivo vicina, per quel fluire  costante di pensiero che  già le pulsava fin dall’alba dritto alle tempie: il pensiero di un concerto da tenere, lei, da lì a poco, nel teatrino di una scuola.  Un concerto di pagine romantiche, con il suo proprio volo di sogni,  carezzato, cercato  fino a quel giorno con un qual senso  di atteso, durevole  e serbato timore, che potesse  ora, ad un  tempo,  prender vita e  farsi suono…
Apparve in scena, Patrizia, avvolta in un nugolo di ragazzi come lei, già felici, di per sé d’essere evasi a quell’ora  dal consueto grigiore delle aule, dalla prigionia dei libri, dai sguardi  seriosi  dei loro  professori.
Il tempo di un inchino.  Breve, pensato, studiato;  così come l’aveva preteso il maestro il giorno innanzi.  
E via. L’ attacco di Schumann, la corona di quel  re naturale  al basso, in ottava,  tra la magia d’un respiro sospeso … Ed il resto, poi, mano a mano,  come corde leggere che arpeggiano nel vento e farfalle, ed echi di feste, ed amori trascorsi tra le rive d’un fiume …
Seguitava a suonare, la nostra amica, e gli occhi dei ragazzi ora cominciavano a cercarsi, a interrogarsi forse di qualcosa  o ad essere presi da quelle note nuove, così belle, così lontane dai loro miti, mai raggiunte fino ad essi dalle radio e dai juke box; mentre qualcuno, tra   la calda  penombra della sala, già si baciava con una qualche rubata tenerezza, dietro ad  un pilastro.
Chissà se abbia visto, Patrizia, tra lo scorrere dei suoi suoni di quel giorno,   come in una  sorta di flash back inverso, anche solo una scheggia, una clip  breve della sua vita futura. La musica, l’umiltà, l’impegno, l’integrità,  la passione, il servizio. E il tutto senza venir meno al suo amato, sublime mestiere di donna e di madre.
Papillon, l’opera 2,  intanto, continuava il suo viaggio, le sue calde tempeste d’Estate, i suoi sussurri di memorie semplici,  di storie che mai si perdono, di canzoni mai sconfitte dalla notte...
Come quell’ultima danza, quel tre quarti  in Re maggiore da farsi al tempo IN UNO, e quell’epilogo lento, calmo, spianato al sereno.
Come i tuoi ultimi giorni.
E noi, al contrario di Schumann, non faremo echeggiare  ora,  per te,  nessun silenzio al rintocco delle sei, da scolpire nell’aria o sopra un tasto; nessuna alba che approdi a  un’ oblio, nessun sonno che vibri tra il nulla.
Riscriveremo  quella pagina stessa  che, semplice, conduca al tuo pensiero.
Una sorta di perpetuum mobile, un canone infinito,  un disco che si incanta, che mai rifugge dal suo solco.

                                                                                    Palermo,   19 luglio 2011



Patrizia Pitrolo