Questo è stato il Piano Day in Conservatorio:
una cattedrale gioiosa di talenti e giovani promesse, al servizio della musica.
Un giorno di festa che svela il senso del lavoro di maestri e allievi, nutrito insieme per mesi tra il nudo e il chiuso delle stanze; fino al suo emanarsi, poi, in fluido generoso, verso il cuore di chi ascolta.
Molti dicono che il nostro sia il mestiere più bello che esista.
Per ciascuno, dal liuto alla tuba.
Essere paghi, di un sorriso imberbe che ci cresce intorno; con cui soffrire o cullarci, piano, in brezza ai giorni o in canto alle notti: il volto acerbo di un allievo come innanzi un germoglio, a che non si dissecchi, a che porga a sua volta un proprio seme, nel domani.
Continueremmo a scrivere, a mietere spighe tra le braccia, a narrare la bellezza che, dai ragazzi, ci approda nel grembo.
Suoni, in pittura d’ un canone costante.
Lacrime serene al candore di un’alba, con la musica accanto.
E ci appare magico, semplice, reale, spartire questa musica, poi, come un cibo, un boccone di rondini, reso lieve ai loro piccoli.
Ma il sogno, per ogni rondine è l’ altrui volo; il fiato di ogni battito che gli impazza vicino, palpitante, tra le piume.
Poi, l’ attimo.
A osservarne le zampette, come rami fragili o come passi, uno, due, via nell'aria...
A quel vuoto, a quel bilico acceso di vita, di pensosa.
Seguirne la rotta a un punto, a una meta che sia il greto d’ un fiume, un giardino di rose, il fianco d’ una stella…
Un luogo, qualunque,
che rechi un umana carezza,
o un soffio d' oro,
da Dio.