A che valgono i nostri passi, oggi, ad approdare fino a qui, in Conservatorio. Accanto al portale di questo luogo, pervaso dall’ aria del mare, dai segni della sua storia…
A che vale l’uguale tragitto di un gentiluomo d’ altri tempi: questo giungere tra noi, col suo bastone in cadenza ai gesti, in carezza alle basole immote, lungo questa strada che racconta la vita, la citta’...
La ragione, il nesso, il senso del noi essere qui, sta in un solo termine: lesto, breve, ma di tante, ben quattro sillabe, comprese di radice, suffisso, desinenza. Una parola, che dal greco spiega, in un sol tratto, l’arte del compiere, del fare. Poiès: un muovere, un fiorire di labbra in sposo al suo astratto femminile che si fonde in un unico suono: poesia.
Antonio Osnato, sui pietrai nudi o tra le spiagge feconde del suo vivere ha nutrito la prosa, i versi, come propri esseri in legame di sangue; in un vincolo di affettuosa, costante, sacra dedizione. Scorgene di essi il prender vita come esili germogli nei mattini, o come fuochi, all’ annegare del sole.
O altro. O piu’.
Se ne traducono messaggi, aforismi, metafore visive, scolpite, immaginate per dove abbia dimora un cuore: di uomo o di donna che ascolti, che muti il proprio volto all’arrivo di incise assonanze, di turbamenti accesi, o di risa festose in seno agli occhi.
Al pari delle facce di un diamante, per un poeta quale è Osnato non esiste spazio, o angolo o materia che non possa rimanere inesplorata ad acclamare una luce. Il bisogno di battito, o attimo da non essere vissuto o cantato nel petto. Dentro la sua meta di pace o fervore; o in piega ad ombre di tristezza nuda o nella falce splendente blandita per ferire il male.
Egli, dentro a una fierezza in voce al tempo, dà sempre sguardo ai suoi libri, all’ arco dei suoi scritti, in calda misura d’ un padre; ad accendere pensieri, a incuriosire, a sferzare ai guisa di una lama sulla pelle, a spiegare amarezze a disvelare verità, per deformazione intrinseca, o per passione d’una intera vita, a ricercare il giusto. Se ne evince allora il dipinto di un uomo, dal lignaggio sincero. Anche controverso, in talune sue pieghe ma, in quanto uomo, degno di essere tale.
Sulle cose, è il navigare della dimensione umana che affiora ad ergersi; in foggia di vele ampie, generose, in rotta felice a frasi, a parole.
Se ne trae, allora, la scena di un magico sacco, per noi. Con dentro una rosa, un oggetto, una fiaba che parli d’ amore, sottratta, a nude mani, dal vuoto, dal nero sipario del silenzio. Con l’ intento alla fine in sé, di perseguire, dall’ arte, i tratti, il segno di un granello vivo che chiami alla bellezza. La goccia ultima a trarne linfa. Giunta fin lì. Per dono di Dio.