Per caso mi imbatto, stamattina, in una cronaca filmata sulla tragedia aerea di Superga del quattro maggio 1949 e sul grande Torino, di cui nessun campione sopravvisse.
Pur da una certa enfasi e retorica del racconto, non ho saputo trattenere, con moto sincero, le lacrime.
Quanta poesia, tra quelle parole. Uno scorrere di tenerezza che ci manca, oggi. Una fiaba o un dramma, là narrati in punta di penna, che ci sembra non scorgere più.
Quanto orrore, in noi, nei giorni luttuosi innanzi a papa Francesco; per gli scritti, per le poesie in rima su di lui copiate dall'intelligenza artificiale, spacciate per proprie e pubblicate sui profili.
La santità, l’ esempio ineguagliabile presi per la giacca, o meglio, per la tonaca. Dove anche l’ anima appare sPfrontata, oltre ai gesti, poi, tra i peana al prosciutto del leader di turno.
O dove anche Gaza con la sua umana distruzione viene commentata, nelle sere in tivvù come al bar, nei suoi pro e contro, uguale a una ridda da Colosseo.
Queste poche righe, stamane, stentano a concludere, innanzi alle grigie pieghe del domani. Ci toccherà sempre più cercare carezze, quasi come segni rari o estinti, al cospetto del dire, dello scrivere o del suonare. Come un granello d’ oro dentro all’ asprezza del fango. O una dissonanza felice, una goccia minuta di perla, scampata al vociare di un rap.