martedì 24 giugno 2025

Piano Day al Conservatorio di Palermo


Questo è stato il Piano Day in Conservatorio:
una cattedrale gioiosa di talenti e giovani promesse, al servizio della musica.
Un giorno di festa che svela il senso del lavoro di maestri e allievi, nutrito insieme per mesi  tra il nudo e il chiuso delle stanze; fino al suo emanarsi, poi, in fluido generoso, verso il cuore di chi ascolta. 

Molti dicono che il nostro sia il mestiere più bello che esista.
Per ciascuno, dal liuto alla tuba.
Essere paghi, di un sorriso imberbe che ci cresce intorno; con cui soffrire o cullarci, piano, in brezza ai giorni o in canto alle notti: il volto acerbo  di un allievo come innanzi un germoglio, a  che non si dissecchi, a che porga a sua volta un proprio seme, nel domani. 

Continueremmo a scrivere, a mietere spighe tra le braccia, a narrare la bellezza che, dai ragazzi, ci approda nel grembo. 
Suoni, in pittura d’ un canone costante. 
Lacrime serene al candore  di un’alba, con la musica accanto.
 
E ci appare magico, semplice, reale, spartire questa musica, poi, come un cibo, un boccone di rondini, reso lieve ai loro piccoli. 
Ma il sogno, per ogni rondine è l’ altrui volo; il fiato di ogni battito che gli impazza vicino, palpitante, tra le piume.  
Poi, l’ attimo. 
A osservarne le zampette,  come rami fragili o come passi, uno, due, via nell'aria...
A quel vuoto, a quel bilico acceso di vita,  di pensosa.
Seguirne la rotta a un punto, a una meta che sia il greto d’ un fiume, un giardino di rose, il fianco d’ una stella…
Un luogo, qualunque,
che rechi un umana carezza, 
o un soffio d' oro,
da Dio.

domenica 8 giugno 2025

Piccolo ritratto per Antonio Osnato.


A che valgono i nostri passi, oggi, ad approdare fino a qui, in Conservatorio. Accanto al portale di questo luogo, pervaso dall’ aria del mare, dai segni della sua storia…

A che vale l’uguale tragitto di un gentiluomo d’ altri tempi: questo giungere tra noi, col suo bastone in cadenza ai gesti, in carezza alle basole immote, lungo questa strada che racconta la vita, la citta’...


La ragione, il nesso, il senso  del  noi essere qui, sta in un solo termine: lesto, breve, ma di tante, ben quattro sillabe, comprese di radice, suffisso, desinenza. Una parola, che dal greco spiega, in un sol tratto, l’arte del compiere, del fare. Poiès: un muovere, un fiorire di labbra in sposo al suo astratto femminile che si fonde in un unico suono: poesia. 

Antonio Osnato, sui pietrai nudi o tra le spiagge feconde del suo vivere ha nutrito la prosa, i versi, come propri esseri in legame di sangue; in un vincolo di affettuosa, costante, sacra dedizione. Scorgene di essi il prender vita come esili germogli nei mattini, o come fuochi, all’ annegare del sole.

O altro. O piu’. 

Se ne traducono messaggi, aforismi, metafore visive, scolpite, immaginate per dove abbia dimora un cuore: di uomo o di donna che ascolti, che muti il proprio volto all’arrivo di incise assonanze, di turbamenti accesi, o di risa festose in seno agli occhi. 

Al pari delle facce di un diamante, per un poeta quale è Osnato non esiste spazio, o angolo o materia che non possa rimanere inesplorata ad acclamare una luce. Il bisogno  di battito, o attimo da non essere vissuto o cantato nel petto. Dentro la sua meta di pace o fervore;  o in piega ad ombre di tristezza nuda  o nella falce splendente blandita per  ferire il male. 

Egli, dentro a una fierezza in voce al tempo, dà sempre sguardo ai suoi libri, all’ arco dei suoi scritti,  in calda misura d’ un padre;  ad accendere pensieri, a incuriosire, a sferzare ai guisa di una lama  sulla pelle, a spiegare amarezze a disvelare verità, per deformazione intrinseca,  o per passione d’una intera vita, a ricercare il giusto. Se ne evince allora il dipinto di un uomo, dal lignaggio sincero. Anche controverso, in talune sue pieghe ma,  in quanto uomo, degno di essere tale. 

Sulle  cose, è il navigare della dimensione umana che affiora ad ergersi; in foggia di vele ampie, generose, in rotta felice a frasi, a parole.

Se ne trae, allora, la scena di un magico sacco, per noi. Con dentro  una rosa, un oggetto, una fiaba che parli d’ amore, sottratta, a nude mani, dal vuoto, dal nero sipario del silenzio. Con l’ intento alla fine in sé, di perseguire, dall’ arte, i tratti, il segno di un granello vivo che chiami alla bellezza.  La goccia ultima a trarne linfa. Giunta fin lì. Per dono di Dio.

lunedì 2 giugno 2025

Canto per Gaza (A Rashid)



CANTO PER GAZA

Rashid, il cuore, al mattino a noi stringi
mentre, a quel muro, speranze dipingi…
Tra il tuo dolore di stracci nel petto
senza una pace e mai stelle, per tetto…

Dove relitti di pietre e di tombe
non hanno voci di azzurri o colombe
tremanti a un boato, d' un frangere secco,
tese a quel ramo d’ amore, tra il becco…

Rashid, la preghiera è un giungerti cruda,
sopra a quel lembo di polvere nuda…
Né anche mai rose, tra il grano e le spine,
tra giochi in malvagio, assurti alle mine…

Tu, dentro a fiamme dipinte già in stuolo
e il grembo inerte d’ un bianco lenzuolo.
Né notti in schiera, di fiabe o reame
ma sogni in ombra a un ghermire di fame …

Rashid, tra soldati in divise d’ orbace
accanto al mondo che ignora, che tace…
A chi in schiera all’ armi si arroga la mente
e va, e uccide gli occhi a un sussurro innocente…

A chi estirpa un letto, un campo o carezza…
senza che il mare conceda una brezza…
A chi nega il tempo, una storia o bandiera.
Dentro a canzoni di mai primavera.
...
(a s. 2 giugno 2025) 


domenica 4 maggio 2025

La tragedia di Superga ed i funerali del Grande Torino, "La Settimana In...






Per caso mi imbatto, stamattina, in una cronaca filmata sulla tragedia aerea di Superga del quattro maggio 1949 e sul grande Torino, di cui nessun campione sopravvisse.
Pur da una certa enfasi e retorica del racconto, non ho saputo trattenere, con moto sincero, le lacrime.
Quanta poesia, tra quelle parole. Uno scorrere di tenerezza che ci manca, oggi. Una fiaba o un dramma, là narrati in punta di penna, che ci sembra non scorgere più.
Quanto orrore, in noi, nei giorni luttuosi innanzi a papa Francesco; per gli scritti, per le poesie in rima su di lui copiate dall'intelligenza artificiale, spacciate per proprie e pubblicate sui profili.
La santità, l’ esempio ineguagliabile presi per la giacca, o meglio, per la tonaca. Dove anche l’ anima appare sfrontata, oltre ai gesti, poi, tra i peana al prosciutto del leader di turno.
O dove anche Gaza con la sua umana distruzione viene commentata, nelle sere in tivvù come al bar, nei suoi pro e contro, uguale a una ridda da Colosseo.
Queste poche righe, stamane, stentano a concludere, innanzi alle grigie pieghe del domani. Ci toccherà sempre più cercare carezze, quasi come segni rari o estinti, al cospetto del dire, dello scrivere o del suonare. Come un granello d’ oro dentro all’ asprezza del fango. O una dissonanza felice, una goccia minuta di perla, scampata al vociare di un rap.Per caso mi imbatto, stamattina, in una cronaca filmata sulla tragedia aerea di Superga del quattro maggio 1949 e sul grande Torino, di cui nessun campione sopravvisse.
Pur da una certa enfasi e retorica del racconto, non ho saputo trattenere, con moto sincero, le lacrime.
Quanta poesia, tra quelle parole. Uno scorrere di tenerezza che ci manca, oggi. Una fiaba o un dramma, là narrati in punta di penna, che ci sembra non scorgere più.
Quanto orrore, in noi, nei giorni luttuosi innanzi a papa Francesco; per gli scritti, per le poesie in rima su di luPi copiate dall'intelligenza artificiale, spacciate per proprie e pubblicate sui profili.
La santità, l’ esempio ineguagliabile presi per la giacca, o meglio, per la tonaca. Dove anche l’ anima appare sfrontata, oltre ai gesti, poi, tra i peana al prosciutto del leader di turno.
O dove anche Gaza con la sua umana distruzione viene commentata, nelle sere in tivvù come al bar, nei suoi pro e contro, uguale a una ridda da Colosseo.
Queste poche righe, stamane, stentano a concludere, innanzi alle grigie pieghe del domani. Ci toccherà sempre più cercare carezze, quasi come segni rari o estinti, al cospetto del dire, dello scrivere o del suonare. Come un granello d’ oro dentro all’ asprezza del fango. O una dissonanza felice, una goccia minuta di perla, scampata al vociare di un rap.


Il valore delle antiche cronache. Il vuoto di oggi.




Per caso mi imbatto, stamattina, in una cronaca filmata sulla tragedia aerea di Superga del quattro maggio 1949 e sul grande Torino, di cui nessun campione sopravvisse.
Pur da una certa enfasi e retorica del racconto, non ho saputo trattenere, con moto sincero, le lacrime.
Quanta poesia, tra quelle parole. Uno scorrere di tenerezza che ci manca, oggi. Una fiaba o un dramma, là narrati in punta di penna, che ci sembra non scorgere più.
Quanto orrore, in noi, nei giorni luttuosi innanzi a papa Francesco; per gli scritti, per le poesie in rima su di lui copiate dall'intelligenza artificiale, spacciate per proprie e pubblicate sui profili.
La santità, l’ esempio ineguagliabile presi per la giacca, o meglio, per la tonaca. Dove anche l’ anima appare sPfrontata, oltre ai gesti, poi, tra i peana al prosciutto del leader di turno.
O dove anche Gaza con la sua umana distruzione viene commentata, nelle sere in tivvù come al bar, nei suoi pro e contro, uguale a una ridda da Colosseo.
Queste poche righe, stamane, stentano a concludere, innanzi alle grigie pieghe del domani. Ci toccherà sempre più cercare carezze, quasi come segni rari o estinti, al cospetto del dire, dello scrivere o del suonare. Come un granello d’ oro dentro all’ asprezza del fango. O una dissonanza felice, una goccia minuta di perla, scampata al vociare di un rap.

domenica 19 gennaio 2025

Immagino i tuoi baci



Immagino i tuoi baci

tra la neve.

Come un germoglio

che migra, 

acceso 

nelle nebbie.



Che va.

A quell’ ergerti

tu, viva, 

su strade spoglie 

tra le vene e il cuore.


Immagino i tuoi abbracci

come fa l' airone tra i canneti.

Anche tu, in ricamo al tempo

e sulle cose intorno, 

Al grido caldo d' una tua sola luce.



Immagino i tuoi gesti

anche lievi come foglie

e poi vasti, come stelle dai ginepri, 

là muoversi, acclamanti

quel desìo d' oro apparso nella stanza.



Immagino 

qui

il nostro amore 

in quell’ alba redenta dai ceppi,

di ambre cangianti, 

di faville pazze 

posarsi a te, in mai quiete.



Tu,

in quel giaciglio di labbra e petali di rose.

In quella storia sonante e senza fine 

che tu sei.


Che anche lontana 

hai luogo.

A quel riflesso di diamante 

che al tuo nome approda, 

e muore.

Come musica perduta 

del suo fiato...


Così che torni

poi, 

di florida giostra 

a quel baleno dentro all'aria. 

E quel volteggio,

risorto a chiamarmi

a prendermi, così,

da ogni muro od ombra.


Qui.

Nel tutto che tu sei.



(a.s. gennaio 2025)